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venerdì 29 luglio 2011

Prima di partire....nella valigia metto questo messaggio ....

...per voi tutti: lettori abituali, semplici curiosi o "bazzicatori" di questo piccolo nostro spazio.
Scrivo queste semplici righe mentre la valigia, alloggiata alla rinfusa sul pavimento, mi osserva col la zip ancora aperta. C'è uno spazio, un minimo pertugio: ho deciso che vi allogerò i miei saluti per ognuno di voi ed una mia poesia (tratta da "fuori dallo stormo", il  mio secondo libro pubblicato).
 Che sia una splendida estate ragazzi! A presto. Chiudo la valigia, parto. 
Sono convinto che al ritorno troverò una sterminata quantità di motivi in più per sorridere insieme a voi, pronti a raccontarci l'ennesimo sogno: quello più bello ancora del precente e, se possibile, meno del prossimo che verrà. 
Che le più belle storie del mondo siano con voi....

 “ SEMPLICE  COME  L’ IMPOSSIBILE “


Assorto,
appoggiato ai miei pensieri intrisi del tuo nome.
In equilibrio precario
sul vibrar della mia chitarra.
I calli delle mie dita,
indomiti,
proseguono la loro danza sulle corde.
Scriverti una canzone.
Farlo “di pancia”,
d’istinto;
poi con la sua melodia ballare nel buio.
Sono stato troppo cerebrale,
troppo razionale.
Al punto di scordare
che si volteggia meglio
senza tradire la semplicità.
Quella d’un aquilone fuggito dalle mani.
O quella d’una fetta di pane,
divenuta una scialuppa
per la morbida marmellata;
nel mare d’una tazza di latte.
So farmi trovare sempre nei miei blu jeans,
da chi come te m’aspetta ancora qui:
in un mondo tutto nostro,
che non ne vuol sapere di farsi etichettare.
Rido divertito mentre ti gonfi il petto
al motto di “io non piango mai”.
Sei in verità così vulnerabile
alla paura di soffrire.
Lasciati prender per mano.
Lasciati portare sotto le note di questo temporale.
Bagnamoci il viso.
Lasciamoci scorrere il tutto sulla pelle.
Infine chiniamoci sulla terra umida:
hai mai odorato
il profumo selvatico che ne scaturisce?
Ecco la magia di cui parlavo!
Non concluderò ancora questa canzone,
ne conserverò gli ultimi accordi solo per te.
Ora che sei pronta.
Ora che hai capito quanto l’amare sa esser semplice…
…Semplice come l’impossibile.

 - ALESSANDRO  DE  VECCHI -

venerdì 15 luglio 2011

L' EQUILIBRISTA IMMUNE AL CAMPO GRAVITAZIONALE

PREFAZIONE: Eccomi qua. Ho sciolto le riserve: ero combattuto sul postare o meno un "piccolo assaggio" di ciò a cui stò piacevolmente lavorando in questi mesi.
Dopo aver auto-prodotto due umili libricini che raccolgono mie poesie, un anno fa mi sono buttato a capofitto in una "sfida con me stesso": provare a scrivere una serie di racconti più o meno brevi.
Dalla poesia alla prosa dunque, continuando a raccontare ciò che da sempre risulta essere la mia stella polare: il quotidiano, "il qui, adesso". Descrivere e favoleggiare il presente, fatto di minuscole boccate d'eternità; troppe volte date per scontate e per questo ingiustamente ignorate. 

Siamo spesso così scioccamente immersi nel rivangare il passato o a fare grandi progetti per futuro, al punto tale di trascurare la sola cosa che deteniamo e su cui possiamo attivamente agire: il presente.

Finiamo troppo frequentemente col credere che solo quando avremo realizzato determinati propositi o raggiunto precisati traguardi saremo realmente felici; ma la verità è che spesso il piacere è già evaporato senza averlo assaporato, poiché giaceva nella bottiglia d’una bevanda chiamata “adesso”.

Non conosco ancora con certezza il titolo che darò a questo mio nuovo libro, nè quando lo completerò. Lavoro su di esso senza patemi o scadenze, armato solo di sorriso e serenità. Lo faccio mietendo idee e gettando inchiostro a giorni alterni e soprattutto solo quando ne sento la necessità dettata dalla bellezza dell'ispirazione.
Lascio qui solo un piccolo frammento, una testimonianza breve di queste mie gradevoli "notti in bianco".
Gli altri racconti profumeranno di carta un giorno o l'altro... e saranno a disposizione di chiunque avrà il desiderio o anche la semplice curiosità sfogliarli, spogliarli e restare in loro compagnia.
 Non mi rimane altro che seminare qui il primo germoglio di questo nuovo sogno, (un libro non è altro che la materializzazione di un sogno)...tutto il resto del "concerto privo di spartiti" si farà ascoltare da chi ne avrà il piacere. A presto quindi, o forse non sarà poi così tanto presto; ma questo non ha importanza: in fondo stiamo parlando solo di tempo.

Un abbraccio, buona lettura carissimi. Dimenticavo: GRAZIE DI ESSERCI, questo viaggio non sarebbe così avvenente senza di voi!

(ALESSANDRO  DE  VECCHI )
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<< L' EQUILIBRISTA  IMMUNE  AL  CAMPO  GRAVITAZIONALE >>


Nel giardino che confina con la mia palazzina una girandola colorata ruota vorticosamente, sollecitata dal vento. La bambina dei miei vicini se n’è accorta. Scende le scale come una furia, mentre si allaccia il giubbotto per non sentire il padre borbottarle appresso.

La guardo divertito mentre salta come un grillo e tende la manina a voler afferrare l’aggeggio in plastica che rotea costantemente.

La madre s’affaccia alla finestra, guarda la sua creatura con occhi amorevoli, poi abbraccia il marito e con un cenno entrambi mi salutano.

Walter il postino suona al mio citofono: c’è una raccomandata per me. Firmo soffermandomi su ogni lettera, quasi a voler ringraziare il mio nome, che da oltre trent’anni mi fa compagnia.

Il giovane impiegato mi consegna la busta, osserva incuriosito il nespolo accanto all’ingresso di casa mia, infine mi sottopone ad un’affettuosa pacca sulla spalla, accompagnata da queste parole: << Lorenzo, quando la tua pianta darà i frutti, mi concederai il piacere d’assaggiarne uno, vero? >>.

Divertito rispondo: << Ne baratterò volentieri una manciata con un sorso dei tuoi liquori fatti in casa. Sono così gentili da aiutarti a respingere qualsiasi tentativo, da parte della malinconia, di scavalcare lo steccato dell’ umore >>.

E’ sabato sera, esilio i miei pensieri cupi e via! Si riavvolge il nastro per poi premere sul tasto “play”. Farò in modo che proietti il mio viso da un’angolazione diversa, foriera di contagioso entusiasmo.

I Pub sono pieni in centro, non entra più neppure uno spillo: c’è la coda ad ogni ingresso.

Ci sposteremo più in periferia, magari dal buon Franco. Lui un posticino te lo rimedia sempre… poi, con quella voce consumata, finisce puntualmente con il lasciarsi andare al suo personale “albo delle gloriose memorie”.

Ti racconta di quando lavorava al porto e le ragazze facevano a gara per uscire con lui. I suoi occhi sembrano lampioni accessi in quelle occasioni.

Sapeva già che non avremmo neppure consultato le liste: ci ha portato dei panini così generosamente farciti da inondare di salse e condimenti l’intero tovagliolo che li avvolgeva.

Birra rossa nei boccali ed un Juke-box nel quale ogni volta mi perdo meravigliato, come fosse il pezzo più pregiato d’un museo. Elvis, Sinatra, Joe Cocker, Bob Dylan, Patty Smith e John Lennon: sono già knock-out solo leggendo le targhette che mostrano i nomi di questi “mostri sacri”.

Andrea, tra un sorso e l’altro, mi parla dei suoi progetti per il futuro: forse andrà a vivere in Svezia, è sempre stato il suo sogno. La crisi di lavoro qui ha accelerato la sua proverbiale tenacia nel bussare a tutte le porte.

Beh, pare proprio che tanto sudore sia stato premiato e non posso che esserne felice, anche se il pensiero di non vedere più così spesso quell’allegra canaglia un pizzico mi rattrista.

Nel frattempo Stefano e Roberto stanno come sempre bisticciando su tutto il possibile: temi etici, attualità, sport. Scommetto che sarebbero in grado di ingaggiare un “ testa a testa” anche sulle rispettive classifiche personali riguardanti le cucine tipiche regionali.

A loro confronto le sfide verbali nelle tribune elettorali televisive sono roba da dilettanti, credetemi! In fondo è proprio questo il bello di Sté e Roby: ci mettono una tale passione che quasi mi fa impallidire…ma soprattutto (ed è questo che adoro di loro), è la profonda amicizia reciproca che non viene mai meno.

Nonostante i dissimili punti di vista, nonostante siano l’uno il bianco e l’altro il nero, l’uno l’est e l’altro l’ovest, rimangono coesi ed uniti! Praticamente due fratelli.

Simona e Maya interrompono la caciara, richiamano la nostra attenzione: dicono d’aver sentito il suono di forti sgommate provenire da fuori, seguite dal fragore chiassoso delle sirene a tutto spiano. Ci si affaccia all’uscio ed è esattamente come pensavo, siamo alle solite: “Rullo” e “Ghigo” non riescono proprio a tenersi lontani dai guai con gli sbirri…questa volta il loro “bullismo un po’ naif” li ha spinti a qualche rombata di troppo sul pedale.

Fuliggine ovunque li ricopre, mentre gli agenti scendono dalle pantere, spengono il lampeggiante ed ha inizio lo scontato rituale.

Andrea ci propone una passeggiata in centro per digerire; all’unisono annuiamo.

Un saluto affettuoso al buon Franco ed in tempo record ci si culla come neonati nei propri giubbotti.

C’è aria frizzante, ma è quella temperatura di fine Settembre che in verità gradisco: sembra fatta apposta per tenermi bello sveglio, per strinarmi un po’ e regalarmi un passo più sportivo.

I ragazzini entrano ora nei locali più alla moda, i luoghi “pettinati”. Li abbiamo sempre chiamati così perché sono frequentati da gente che fa dell’apparire (e non certo dell’essere) la propria ragione di vita.

Chi frequenta quel tipo di posto pare ami uniformarsi ad una serie di dogmi e patetici “lavaggi del cervello” dettati della società e del consumismo “usa e getta”.

Per intenderci: lì, se non hai anche le calze ed i boxer firmati, finisci col suscitare lo sguardo disgustato dei raffinati “figli di papà”.

Passiamo oltre, di queste cose assurde ormai abbiamo imparato a sorrider sopra.

Stiamo chiacchierando allegri tenendoci tutti per mano. Improvvisamente un episodio mi estranea e mi fa riflettere in profondità, almeno quanto un  pozzo dalle monete sommerse.

Un anziano signore sta pedalando per le vie che portano in piazza. Non si tratta di una comune bicicletta, ma piuttosto di un bizzarro mezzo a tre ruote con una sorta di carretto sul retro. 

Ebbene, nel cestone di legno posteriore c’è una radio accesa, una di quelle d’epoca, con tutti quei pomelli tondi in legno che regolano il volume e la sintonia delle stazioni.

L’uomo è canuto ed anche la barba è quasi completamente bianca.

L'osservo quasi ipnotizzato, così curvo su se stesso spingere sui pedali, mentre la sua radio diffonde a volume rispettoso, ma percettibile, vecchie canzoni popolane.

Improvvisamente dall’altro ciglio della strada scoppia una serie di fragorose risate, seguite da un cocktail acido ed intollerante d’insulti, sfottò ed occhi taglienti puntati addosso, manco fosse criminale.

In pochi istanti il quadro mi è chiaro: per la gente assiepata ai lati delle strade, quell’uomo se l’è davvero cercata e meritata la bufera di sberleffi ed occhiatacce. E’ evidente che per la maggior parte di costoro la sua “colpa” sarebbe proprio quella d’essere “diverso”.

Per un attimo mi sento amareggiato, sento vibrare il forte istinto di raggiungerlo. Dirgli di alzare il tono della sua radio, di non dar retta a quelle risate irrispettose e agli epiteti che aumentano a dismisura.

Vorrei gridare alla marmaglia presente una frase che ho imparato tempo fa: << Quando presuntuosamente punti il dito per dare giudizi, guarda bene la tua mano: un dito indica un bersaglio, ma ben tre dita indicano te stesso. >>

In fondo la verità è che la gente ha sempre avuto paura di ciò che non conosce, di tutto ciò che è “differente”, che comporta uno sforzo di comprensione. Molto più facile giudicare, additare come pestilente, sciocca o sovversiva ogni persona che essendo se stessa non è conforme o uniformata.

L’attempato ed originale ciclista si volta verso la folla curiosa. Qualcuno forse si aspetta una reazione, un prevedibile scatto.

Sorprendentemente nulla di tutto ciò avviene, anzi la scena che è seguita credo sarà destinata a rimanere nella mia scatola cerebrale a lungo; come uno degli insegnamenti morali più alti e preziosi.

Come detto “Nonno DJ” (così è già stato ribattezzato dai tanti “benpensanti” presenti), si volta. Ferma il carretto, abbozza un sorriso tranquillo, pacifico; per nulla turbato né offeso.

Infine riprende la pedalata, dopo aver donato una serena carezza ad un ragazzino a pochi centimetri da lui. Il suo viso è un affresco evidente della sua serenità cosciente.

Qualche metro più avanti fischietta “Rosamunda”, coprendo il motivetto alla radio… ha stravinto, con classe, con la forza più grande che esista: la dignità e l’amore per il proprio essere e per il prossimo.

Una domanda mi sgorga spontaneamente: <<Avete mai fatto caso a come, spesso, le persone che sorridono di più siano anche quelle che hanno sofferto maggiormente? >>.

Questa vicenda, così apparentemente banale, mi riporta gioiosamente ad alcune massime che mi sono annotato nei miei quaderni, negli anni. Ho sempre avuto la passione degli aforismi che descrivono il pensiero libertario. Beh, ce ne sono un paio in questo frangente che tentano di uscire allo scoperto: << E’ ricercando l’impossibile che l’uomo ha sempre realizzato il possibile. Coloro che si sono ‘saggiamente ‘ limitati a ciò che appariva loro come possibile non hanno mai avanzato di un solo passo >> (Michail Bakunin).

Vi sono poi quei mirabili tratti “dell’imperativo categorico” e della “critica della ragion pratica” di Kant, che tanto mi han meravigliato: << Fai quello che devi fare, non perché vi sarà qualcuno che ti darà un premio o una punizione, ma poiché sai che lo devi fare. Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me >>.

E’ un sabato sera, come tanti. Esattamente quello che molti altri miei coetanei staranno trascorrendo, nel modo a loro più congeniale e gradito. Eppure io sento in me qualcosa che si muove, come scosse d’assestamento all’asse di rotazione delle mie credenze e della mia vita.

Forse è puramente una mia bizzarra fantasia, mi piace pensare che questa circostanza mi sia stata donata come incoraggiamento a proseguire su questa strada. Una carreggiata per certi versi tortuosa ed ardua…ma maestra d’apertura.

Ho appena afferrato il cellulare ed inviato un s.m.s. ai miei amici Francesco e Valeriana. Ho spedito loro una frase che mi è germogliata in mente, l’ho fatto perché per me sono due esempi di persone che emanano senso di svincolata volontà:

<< Come l’odore dell’ozono preannuncia la pioggia, così esiste un senso remoto che ti fa scorgere il profumo di uno spirito libero >>.

Di fronte alla fontana, mentre Andrea e Simona si baciano, Maya alle mie spalle mi stringe mordicchiandomi l’orecchio sinistro.

Divengo rosso come un semaforo durante queste sue manifestazioni d’affetto.

Guardo la nostra immagine riflessa nell’acqua. Penso a quanto è bello il suo animo; è letteralmente accecante il candore scintillante della sua aura.

Ecco, guardare la propria indole allo specchio e dal confronto col proprio riflesso, uscirne a testa alta: questo è ciò che indubbiamente conta per me.

Non riesco a sradicare gli occhi dalla fontana che riflette la luce del lampione, né a far uscire dalla mia mente l’elevatezza di quell’uomo, così in pace e fiero d’esser chi è, a qualunque costo.

Medito riguardo a come non fosse minimamente interessato agli scherni, agli indici puntati in segno di derisione.

Tutto ciò mi porta, non so bene per quale ragione, a riconsiderare gli ultimi due anni della mia esistenza.

Ho visto gente avvicinarmi e, giorno dopo giorno, proclamarsi chi “amico per la vita intera” chi “fratello di sangue” chi “simbioticamente legato alla mia persona”.

Ho sentito codeste assicurazioni più sontuose d’un solenne giuramento politico dissolversi come nevischio al primo pallido sole. Ho compreso quanto certe promesse siano come alcuni profumi confezionati: durano finchè l’alcool non evapora, lasciando solo il timido ricordo della fragranza.

Ho assistito a sfilate di volti cangianti come cartelloni pubblicitari: scrostati, sbiaditi in pochi mesi ed auto-sostituitisi con una passata di colla; buona per un nuovo manifesto sorridente.

Un movimento caotico, del tutto simile alle palline impazzite di un flipper.

Un andirivieni degno della più intrecciata soap-opera, dove certi personaggi del cast entrano, escono e poi rientrano; secondo le proprie esigenze ed a proprio piacimento.

Peccato non si siano resi conto che l’ingresso in questione non sia una porta girevole di Hollywood, bensì l’accesso nella mia vita e nei miei ventricoli pulsanti. Quelli di una persona umana fatta di pregi ed altrettanti difetti. Di carne, ossa, ma soprattutto sentimenti veri (nel bene e nel male); che nulla hanno a che fare con la finzione e con la plastica.

Già, proprio così: ho parlato di sentimenti. Quest’ argomento così scottante, così facile da dribblare meticolosamente e volutamente.

Che dire? Chi mi conosce almeno un poco sa quanto la retorica sia poco tollerata dal mio d.n.a.

Ma a costo di passare enfatico, sarei pronto a scrivere col sangue che, per quanto mi riguarda, intendo gli affetti come una casa. Nel modo più assoluto non una fortezza blindata con uno spioncino che dà sul giardino recintato, ma una dimora calda, luminosa ed accogliente… priva di serrature e con un’enorme finestra spalancata sul mondo. Quel creato fatto di strade e vicoli, da percorrere camminando o correndo a proprio modo e proprio passo.

A proposito di modi e passi: credo sia arrivato anche per me il momento di sintonizzare la radio della mia voce inconscia e recondita.

Ruotare l’antenna, scegliere la mia frequenza ed il volume…passeggiando a testa alta, come quell’anziano uomo che, degno di quel famoso adagio di Oscar Wilde, ci rimembra per bene una profonda verità: <<La vita è il tipo d’insegnante più difficile: prima di fa l’esame, poi ti spiega la lezione >>.

Le ore si stan facendo piccole. Il letto mi attenderà, così come la domenica mattina, la colazione con Maya e le risate coi miei cari: un caffé zuccherato di poche ma delicate certezze, che emergeranno nella tazza zeppa di punti interrogativi dei miei domani .

Sento d’essere un po’ come il fiato sospeso che precede il tuffo selvaggio da una cascata.

Come un equilibrista immune al campo gravitazionale…a piedi nudi, lungo la linea dell’orizzonte.



 ( ALESSANDRO  DE  VECCHI )