Ore 7,00: una tazza d’orzo caldo lancia segnali di fumo, un nuovo giorno è cominciato.
La fioca luce autunnale gioca a nascondino con le intercapedini delle veneziane.
Un orifizio si offre al raggio di sole pallido: ne filtra un riverbero timido, ma in grado di tormentare le mie pupille, ancora particolarmente sensibili dopo una notte spesa più a leggere che a dormire.
Accendo la tv mentre metto sotto i denti un paio di biscotti al mais, uno zapping sbrigativo è in grado di travolgermi con imponenti razioni di tossine.
Sono già tutti in prima fila i despoti di questo paese ferito, tutti risoluti a sparare sentenze, sciorinando ricette e promesse miracolose.
Dietro front: voglio godermi la colazione in modo rilassato, metto su un cd di buona musica…la tv l’ho ammutolita perché ero già stanco d’osservare ipocrite dentature sorridenti a “vista di telecamera”. Ci si secca in fretta degli assassini della libertà. Si preferisce a non adito a lor signori “sciacalli incravattati”, che banchettano coi cadaveri delle nostre amate ma sfortunate utopie.
Lo stereo mi fa riaccomodare nei meandri della pace. Ho ancora un quarto d’ora buono prima di recarmi a lavoro, perciò mi godo ogni singola nota della superba “ At my most beautiful” dei R.e.m.
Micheal Stipe sussurra: << I've found a way, a way to make you smile >>. (Ho trovato un modo, un modo per farti sorridere).
Sbircio furtivamente il mio volto riflesso nel portello di vetro del fornetto a micro-onde e scovo in effetti un sorriso, inaspettato, cristallino, semplice come un dipinto naif.
Una miscela di sapori discordi s’infiltra nelle mie arterie. Il retrogusto asprognolo si amalgama al dolce dei ricordi. Una voce perseverante mi ricorda che questa straordinaria band si è sciolta poche settimane fa, consegnandosi alla storia della musica, intesa più come arte che come show-business.
Mi sovviene ancora la mia incredulità, mentre leggevo lo scarno ma poetico comunicato per noi ammiratori: << Un saggio una volta disse che la cosa più importante quando si va a una festa è sapere quando è il momento di andare via. Abbiamo costruito qualcosa di straordinario insieme ed ora è tempo di abbandonarla. Abbandoniamo le scene con un grande senso di gratitudine, di realizzazione e di stupore per tutto quello che abbiamo realizzato. A tutti quelli che si sono emozionati con la nostra musica, i nostri più profondi ringraziamenti per averla ascoltata >>.
Così se n’è andato un altro pezzetto di quell’indescrivibile mosaico di vita che hai reso i miei anni ’90 qualcosa d’irripetibile, nella mia genuina sprovvedutezza.
Niente paura e bando alla retorica del “c’era una volta”. La lezione l’ho imparata da tempo: meglio non cedere alla “sindrome del torcicollo” che soventemente ci offusca la visione, occultandola nel tunnel dell’amarcord. Il mondo non si ferma per niente e nessuno, tutto si evolve e nulla è più certo del cambiamento.
Zaino in spalla, due mandate di chiave alla porta di casa, passo spedito ed immancabili auricolari ai timpani: il lieto risveglio musicale prosegue anche durante la mia marcia. “Back in your arms” di Bruce Springsteen e “Verranno a chiederti del nostro amore” di De André mi deliziano il tragitto.
Come in un copione perfetto giungo a destinazione proprio mentre quest’ultima canzone finisce, con lo struggente interrogativo di “Faber” che canta : << …O resterai più semplicemente dove un attimo vale un altro, senza chiederti come mai? Continuerai a farti scegliere o finalmente sceglierai? >>
Una corrente d'aria sembra volermi penetrare le ossa senza domandarmi neppure il permesso. M’infilo i guanti a “mezze dita” ai quali tanto sono affezionato.
Le prime foglie rosse cadute dagli alberi occupano l’asfalto, giostrando vorticosamente, muovendosi come un plotone calamitato ai bordi del marciapiede.
Sotto casa mia ho intravisto, come ogni giorno, quella Citroen verde coi copri cerchioni particolari. Da due anni a questa parte è parte del mio quadro visivo quotidiano. Ho trascorso un intero inverno a riflettere su come quest’auto fosse assurdamente simile in ogni minimo particolare alla macchina di Claudia. Spesso mi perdervo in queste coincidenze, proprio dopo aver lungamente chiacchierato al telefono con lei, disquisendo amabilmente di tutto: dal particolare più divertente e ridanciano al discorso più profondo.
Ora credo che le coincidenze in verità non esistano, sono consapevole che vi siano invece “segni” e conseguentemente la nostra abilità nel coglierli o meno.
Sarà una lunga giornata lavorativa, ma fortunatamente in questi giorni sono così vicino a casa da pater poi fare una sana passeggiata distensiva.
Ore 17,00: lo zaino torna ad essere incollato alla mia schiena come un simpatico Koala.
Devo passare in posta a svolgere alcune commissioni << Magnifico! >> penso reiteratamente tra me e me: << Quale occasione migliore per passare al Jolly Bar e bere un caffé con una deliziosa spolverata di cannella? >>.
All’ingresso m’imbatto in un tenero incontro: c’è un delizioso cagnolino privo di una zampa. L’accarezzo istintivamente, mentre lui festoso mi porge il muso facendo leva sulle sue robuste tre zampine. Il premuroso padrone mi descrive sapientemente quanto questa creatura sia, a suo modo, un esempio singolare di tenacia ed attaccamento alla vita. Infine mi saluta mettendomi a conoscenza del nome di quella dolce creatura: << Il suo nome è Seth>> .
Sorrido ancora, le labbra si inarcano come questa mattina, quando ho preso alla lettera il consiglio che i R.e.m. mi hanno lasciato in eredità.
In lontananza osservo Seth camminare alla sua andatura: è fiero, coraggioso, inarrestabile. Pronuncio sottovoce qualcosa che è lì, in bilico sulla mia lingua: << l'eccezione è il volto a cui do il mio interesse nella regola >>.
Mi sposto nel vialetto che giunge alla sede della posta. Una sconosciuta mi strizza l’occhio: il mondo oggi mi appare inspiegabilmente meno arduo del solito, a tratti persino semplice e vanigliato.
Fuori dall’ufficio delle poste mi faccio abbracciare da un vigoroso respiro di vento.
Apro le braccia per sentirlo circumnavigare il mio corpo e mi cullo nelle domande, sempre più convinto del fatto che le persone davvero sagaci non siano quelle che hanno tutte le risposte in tasca, quanto piuttosto quelle che sappiano porsi le domande giuste al momento opportuno.
Proseguo verso casa, spinto da una cieca fiducia, che a piene mani depongo nell’universo.
Al semaforo rivedo Seth, il quale abbaia per porgermi il suo saluto.
Mi volto: la Citroen verde coi copri cerchioni bizzarri è proprio dinanzi a me, la proprietaria del veicolo poggia la sua borsa sul sedile accanto poi raccoglie i fluenti capelli con un mollettone.
Somiglia in maniera clamorosa a Claudia, solo un po’ più matura d’età, ma la similarità è davvero sorprendente, al punto che arrivo a sorridere e pensare: << Perbacco, potrebbe essere lei tra una dozzina d’anni! >>.
La donna avvia il motore e prima di chiudere la portiera sinistra accende l’autoradio pasticciando un poco sui vari tasti come fossero graziosi soprammobili di una generosa bancarella. Lo specchietto retrovisore interno diviene per un istante il suo camerino personale: una ripassata al trucco con una matita per labbra color mattone ed un esperto ritocco alla graziosa riga nera sopra gli occhi…ed ecco che la canzone parte precedendo il mio stupore con fatalità disarmante.
Il ritmare dolce delle prime note al pianoforte precede un timbro vocale che riconosco al primo mormorio.
E’ un batuffolo di cotone soffice, una voce che mi lambisce come una carezza lungo l’intera epidermide, oramai totalmente in balia dell’emotività: << I've found a way, a way to make you smile >>.
I miei trentasei denti fanno nuovamente bella mostra di sé, incorniciati da labbra i cui vertici sembrano raggiungere prima le orecchie e poi il cielo.
C’è poco da fare: amo la vita e adoro le vite vissute fuori dai pentagrammi.
- ALESSANDRO DE VECCHI -