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domenica 30 dicembre 2012

2013: felicità NON CERCATA...ma VISSUTA! Auguri!

<< E' proprio la ricerca della felicità il maggior ostacolo alla realizzazione d'essa. La felicità non va cercata, ma vissuta >> (Lama Rabsel -che ringrazio per i suoi preziosi insegnamenti-).
 BUON 2013 A TUTTI ! :-)

- ALESSANDRO DE VECCHI -

venerdì 7 dicembre 2012

piccole .. grandi.. gioie



La gioia di condividere con Voi  alcuni articoli e recensioni uscite recentemente sui giornali "Eco della città" (Abbiatregrasso, MI) e Leggo (rivista gratuita distribuita a Milano).

Un abbraccio! - ALESSANDRO DE VECCHI -

martedì 27 novembre 2012

Il nuovo libro è pubblicato!! (acquistabile via web e prenotabile nelle Feltrinelli)

Ottobre 2009, dopo 2 libricini di poesia sento nascere la necessità di raccontare ciò che vedo, sento e percepisco, attaverso nuove lenti: quelle del racconto, della prosa narrativa. Una nuova sfida dunque, che è esattamente OGGI, a distanza di tre anni: fra notti passate dinanzi al monitor a sviscerare parole e thè carichi, aventi il compito di tenermi sveglio. 
Ma oggi lo posso dire con entusiasmo: quelle pagine vedono finalmente la luce!! "LIBERI E CONTROCORRENTE COME SALMONI" è infatti ORA disponibile ed acquistabile al sito: http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=899090

 ma soprattutto prenotabile IN QUALUNQUE LIBRERIA FELTRINELLI d'Italia! 

Una soddisfazione che mi riempie di gioia e che mi invoglia a dar sempre il massimo, affinchè chiunque desideri leggere queste semplici pagine, possa trovarne giovamento. 
Un abbraccio a tutti!
 ALESSANDRO DE VECCHI
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Prefazione
Soffermandomi a riflettere sulla curiosa vita della specie acquatica a cui mi sono ispirato per il titolo di questo libro, ho compreso ancora di più il perché il frutto di tale riflessione calzasse a pennello per questa “adunata di racconti e personaggi”. Il salmone è un essere vivente che rappresenta da sempre la natura "anticonformista", libera da paletti prefissati e percorsi prestabiliti da qualcun altro. Ma la sua autonomia ed il suo modo di non allinearsi "supinamente e passivamente" non sono mai fini a se stessi, né tanto meno dettati dalla reazionaria voglia d'attirare attenzioni in maniera egocentrica.
Egli segue in verità spontaneamente "il flusso della vita",  in modo indipendente e molto arguto: risale la corrente mostrando forza e determinazione insita in sé, per tornare dal mare alla sorgente d'acqua dolce, laddove è nato. Lì deporrà le uova e darà ai nuovi esemplari il miglior habitat possibile alla loro esistenza.
Un affascinante  percorso che inconsciamente ha ispirato anche me, che come tutti mi affanno a nuotare nelle acque agitate della vita, imparando a sbracciare anche controcorrente quando serve...ma sempre e solo per seguire il mio naturale corso e deporre le "mie uova" (rappresentate, in questo caso, da gesti, parole ed esperienze).
Ecco dunque il riassunto di questo percorso umano: è qui impresso ed è una raccolta di racconti eterogenei ma legati da un minimo comun denominatore: tutti i personaggi, uomini, donne o ragazzi che siano, provengono da difficili realtà provinciali ed in un momento di crisi globale tentano il "riscatto", la seconda possibilità che tutti cerchiamo dalla vita per assaporare la gioia.
Ho cercato spesso il gettone della felicità. Talvolta lo rintracciavo in una persona o un rapporto umano, altre volte in un luogo o un’idea.
Col tempo ho realizzato che invece di setacciare monete da inserire nella “slot machine della beatitudine” era il caso d’estrarre dai miei abissi il vero tesoro: la chiave che mi permettesse di aprire lo scrigno della serenità.
Così ho scoperto che quel passepartout era in realtà già dentro di me…si chiama consapevolezza di sé.
Il sottotitolo (“regaliamoci questo momento”), è invece quasi un suggerimento (a me stesso in primis), oltre ad essere un augurio umano ed un’esortazione che nasce da una considerazione:
<< Siamo tutti scioccamente immersi nel rivangare il passato o fare grandi progetti per il futuro, al punto tale da trascurare la sola cosa che deteniamo e su cui possiamo attivamente agire: il presente. Finiamo troppo frequentemente col credere che solo quando avremo realizzato determinati propositi o raggiunto precisi traguardi saremo realmente felici, ma la verità è che spesso il piacere è già evaporato senza averlo assaporato, poiché giaceva nella bottiglia d’una bevanda chiamata ‘adesso’ >>.  
- Alessandro De Vecchi -

Voglio fare una dedica speciale alla memoria di Paolo Andreocci (giornalista, scrittore, conduttore televisivo, ma soprattutto persona di qualità umane rare). La prefazione di questo libro avrebbe dovuto portare la sua firma: ho avuto il privilegio di ricevere le attenzioni di Paolo, i suoi preziosi consigli, oltre alla gentile promessa d’un suo commento una volta terminata la stesura. Purtroppo la vita ha deciso diversamente: il mio treno doveva ancora partire, il suo invece è giunto a terrestre destinazione…ci siamo però incontrati “in stazione” e quest’incontro lo porterò sempre con me.




giovedì 25 ottobre 2012

Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto e' speciale(un altro racconto popolare)


Il mio amico aprì il cassetto del comodino di sua moglie e ne estrasse un pacchetto avvolto in carta di riso: << Questo - disse - non e' un semplice pacchetto, è biancheria intima >>. Gettò la carta che lo avvolgeva ed osservò la seta squisita ed il merletto. << Lo comprò la prima volta che andammo a New York - proseguì - 8 o 9 anni fa. Non lo uso' mai. Lo conservava per una "occasione speciale": bene, credo che questa sia l'occasione giusta >>. Si avvicinò al letto e collocò il capo di vestiario vicino alle altre cose che avrebbe portato alle pompe funebri. Sua moglie era appena morta. Girandosi verso di me, disse: << Non conservare niente per un'occasione speciale, ogni giorno che vivi e' un'occasione speciale >>.
Sto ancora pensando a queste parole.....hanno cambiato la mia vita. Adesso leggo di più e pulisco di meno. Mi siedo in terrazzo ed ammiro il paesaggio senza far caso alle erbacce del giardino. Passo più tempo con la mia famiglia e gli amici, e meno tempo lavorando. Ho capito che la vita deve essere un insieme di esperienze da godere, non una striscia di tempo per sopravvivere. Ormai non conservo nulla. Uso i miei bicchieri di cristallo tutti i giorni. Mi metto la giacca nuova per andare al supermercato, se cosi' decido e se ne ho voglia. Non conservo il mio miglior profumo per feste speciali, lo uso ogni volta che voglio farlo. Le frasi " un giorno...." ed "uno di questi giorni...." stanno scomparendo dal mio vocabolario. Se qualcosa vale la pena di essere ascoltata , vista o fatta, voglio ascoltarla, vederla o farla adesso.
Non sono sicuro di cosa avrebbe fatto la moglie del mio amico se avesse saputo che non sarebbe stata qui per il domani che tutti prendiamo tanto alla leggera. Credo che avrebbe chiamato i suoi familiari ed i suoi amici intimi. Magari avrebbe chiamato alcuni vecchi amici o semplici conoscenti per scusarsi e fare la pace per una possibile lite passata. Mi piace pensare che sarebbe andata a mangiare cibo cinese, il suo preferito.
Sono queste piccole cose che mi infastidirebbero se sapessi che le mie ore son contate. Sarei infastidito perchè smisi di vedere buoni amici con i quali mi sarei messo in contatto "un giorno...", sarei infastidito perche' non scrissi certe lettere che avevo intenzione di scrivere "uno di questi giorni....", sarei infastidito e triste perche' non dissi ai miei fratelli ed ai miei figli, con sufficiente frequenza: "ti amo".
Adesso cerco di non ritardare, trattenere o conservare niente che aggiungerebbe risate ed allegria alle nostre vite.
Ed ogni giorno dico a me stesso che questo giorno è speciale......
Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto....è speciale. (ANONIMO)

giovedì 4 ottobre 2012

Due bolle volteggianti: racconti popolari anonimi




IL VASO:

    Un professore di filosofia, in piedi davanti alla sua classe, prese un grosso vaso di marmellata vuoto e cominciò a riempirlo con dei sassi, di circa 3 cm di diametro.
    Una volta fatto chiese agli studenti se il contenitore fosse pieno ed essi, risposero di sì.
    Allora il professore tirò fuori una scatola piena di piselli, li versò dentro il vaso e lo scosse delicatamente. Ovviamente i piselli si infilarono nei vuoti lasciati tra i vari sassi.
    Ancora una volta il professore chiese agli studenti se il vaso fosse pieno ed essi, ancora una volta, dissero di sì.
    Allora il professore tirò fuori una scatola piena di sabbia e la versò dentro il vaso. Ovviamente la sabbia riempì ogni altro spazio vuoto lasciato e coprì tutto. Ancora una volta il professore chiese agli studenti se il vaso fosse pieno e questa volta essi risposero di sì, senza dubbio alcuno.
    Allora il professore tirò fuori, da sotto la scrivania, 2 lattine di birra e le versò completamente dentro il vasetto, inzuppando la sabbia. Gli studenti risero.
    "Ora," disse il professore non appena svanirono le risate, "pensate che questo vaso rappresenti la vostra vita.
    I sassi sono le cose importanti - la vostra famiglia, i vostri amici, la vostra salute - le cose per le quali se tutto il resto fosse perso, la vostra vita sarebbe ancora piena.
    I piselli sono le altre cose per voi importanti: come la vostra scuola o il vostro lavoro, la vostra casa, la vostra auto. La sabbia è tutto il resto......le piccole cose".
    "Se mettete dentro il vasetto per prima la sabbia", continuò il professore, "non ci sarebbe spazio per i piselli e per i sassi. Lo stesso vale per la vostra vita: se dedicate tutto il vostro tempo e le vostre energie alle piccole cose, non avrete spazio per le cose che per voi sono importanti.
    Dedicatevi alle cose che vi rendono felici: giocate con i vostri figli, portate il vostro partner al cinema, uscite con gli amici. Ci sarà sempre tempo per lavorare, pulire la casa, lavare l'auto. Prendetevi cura prima di tutto dei sassi, le cose che veramente contano. Fissate le vostre priorità... il resto è solo sabbia."
    Una studentessa allora alzò la mano e chiese al professore cosa rappresentasse la birra.
    Il professore sorrise: "Sono contento che tu me lo abbia chiesto. Era solo per dimostrarvi che per quanto piena possa essere la vostra vita, c'è sempre spazio per un paio di birre!!!"


LA FINESTRA : 
 Due uomini, entrambi molto malati, occupavano la stessa stanza d'ospedale. A uno dei due era permesso mettersi seduto sul letto per un'ora ogni pomeriggio per aiutare il drenaggio dei fluidi dal suo corpo. Il suo letto era vicino all'unica finestra della stanza. L?altro uomo doveva restare sempre sdraiato. Infine, i due uomini fecero conoscenza e cominciarono a parlare per ore. Parlarono delle loro mogli e delle loro famiglie, delle loro case, del loro lavoro, del loro servizio militare e dei viaggi che avevano fatto.
Ogni pomeriggio, l'uomo che stava nel letto vicino alla finestra poteva sedersi e passava il tempo raccontando al suo compagno di stanza tutte le cose che poteva vedere fuori dalla finestra. L'uomo nell'altro letto, cominciò a vivere per quelle singole ore nelle quali il suo mondo era reso più bello e più vivo da tutte le cose e i colori del mondo esterno. La finestra dava su un parco con un delizioso laghetto. Le anatre e i cigni giocavano nell'acqua mentre i bambini facevano navigare le loro barche giocattolo. Mentre l'uomo vicino alla finestra descriveva tutto ciò nei minimi dettagli, l'uomo dall'altra parte della stanza chiudeva gli occhi e immaginava la scena. In un caldo pomeriggio l'uomo della finestra descrisse una parata che stava passando. Sebbene l'altro uomo non potesse vederla, poteva sentirla, con gli occhi della sua mente così come l'uomo della finestra gliela descriveva. Passarono i giorni e le settimane. Un mattino l'infermiera di turno del giorno portò loro l’acqua per il bagno e trovò il corpo senza vita dell'uomo vicino alla finestra, morto pacificamente nel sonno. L'infermiera diventò molto triste e chiamò gli inservienti per portare via il corpo. Non appena gli sembrò appropriato, l'altro uomo chiese di potersi spostare vicino alla finestra. L’infermiera acconsentì e, dopo essersi assicurata che stesse bene, lo lasciò solo.
Lentamente, dolorosamente, l'uomo si sollevò su un gomito per vedere per la prima volta il mondo esterno. Si sforzò e si voltò lentamente per guardare fuori dalla finestra vicina al letto. Essa si affacciava su un muro bianco. L'uomo chiese all'infermiera che cosa poteva aver spinto il suo amico morto a descrivere delle cose così meravigliose al di fuori di quella finestra. L'infermiera rispose che l'uomo era cieco e non poteva nemmeno vedere il muro. "Forse voleva farle coraggio", disse.


Vi è una straordinaria felicità nel rendere felici gli altri, anche a dispetto della nostra situazione. Un dolore diviso è dimezzato, ma la felicità divisa è raddoppiata. Se vuoi sentirti ricco, conta le cose che possiedi che il denaro non può comprare. L'oggi è un dono ed è per questo motivo che si chiama presente.

(RACCONTI ANONIMI) 

domenica 9 settembre 2012

Il nostro appuntamento con la vita è oggi ( il maestro Thich Nhat Hanh a Milano)





Sabato 8 Settembre: Teatro Dal Verme, Milano. Ore 15,00: la fila di persone in coda all’ingresso dell’edificio è davvero notevole. Pare d’osservare uno sciame d’animi venuti a cercar rifugio e semplicità, proprio nel cuore pulsante della caotica e cosmopolita metropoli meneghina, che tanto sa donare ma altrettanto inghiotte in termini di stress ed energie mentali.
L’evento si chiama “Il nostro appuntamento con la vita è oggi” e la personalità che dona insegnamenti è niente meno che Thich Nhat Hanh: l’86enne famosissimo maestro zen vietnamita, fondatore del movimento non-violento “piccoli corpi di pace”. Candidato a premio Nobel per la pace nel 1967 proprio da Martin Luther King, nonché autore di oltre 100 saggi spirituali e libri di poesia.
Mi ritengo un privilegiato nell’aver potuto assistere, nell’arco di appena 2 mesi, a questa manifestazione ed a quella del XIV Dalai Lama.
“Thay”, termine vietnamita che significa “maestro” (così è affettuosamente chiamato dai suoi studenti del “Plum Village” in Francia, dov’è esule dai tempi della guerra U.s.a-Vietnam.) ha snocciolato una serie di saggi compendi, alternati a momenti di leggerezza e genuini sorrisi serafici.
Il pomeriggio ha avuto inizio con una meditazione guidata, dove tramite il supporto del respiro e di pochi ma efficaci vocaboli, la folla è rimasta immersa in un ineffabile stato di autentica gioia.
Un altro istante di grande impatto emotivo è stato il “canto di Avalokitesvara”, durante il quale monaci e monache hanno amalgamato le proprie voci a violini, chitarre, violoncelli, campane tibetane e percussioni, la cui fusione ha dato come risulto un’alchimia in grado di commuovere anche il più composto del presenti.
Tutto il messaggio di “Thay” ruota attorno ad un semplice cardine: << Il solo istante di cui dobbiamo occuparci è il presente, il passato ed il futuro sono rispettivamente cenere ed incognita, solo gioire del ‘qui ora’ può gettare i semi più propizi >>.
Partendo da queste considerazioni e dalla sua celebre: << Non c’è una via per la pace, la pace stessa e la via >>, il maestro ha riassunto quanto segue:
-Se non siamo in pace coi noi stessi non potremo mai esserlo neppure con gli altri.
-La nostra sofferenza riflette quella dell’intero mondo di cui noi non siamo affatto l’ego-centro.
-Abbiamo paura d’essere sopraffatti dalla sofferenza toccandola, per cui scioccamente facciamo di tutto per fingere che non esista o metterla a tacere invece d’abbracciarla e curarla.
-L’insoddisfazione, se accolta e trasformata anziché “coperta” ed ignorata, si trasforma in consapevolezza e meraviglia di saper cogliere ogni aspetto che diamo per scontato.
- Aiutare gli altri significa aiutare anche se stessi, così come prendersi cura di sé significa fare il primo passo per aiutare il prossimo…questo perché siamo tutti inter-conessi e nessuno può vivere in maniera del tutto autonoma senza acqua, aria, cibo e cure e relazioni umane.
-Noi respiriamo sempre, ma lo facciamo in maniera inconsapevole e ci accorgiamo di quanto sia importante respirare solo quando il fiato ci manca. Bastano 3 o 4 secondi respiro consapevole (inspiro e sono consapevole di vivere, espiro e gioisco dell’esistere) per tornare nella nostra “vera casa”, non attaccandoci a rinvangare il passato (sul quale non abbiamo più potere), ne perdersi troppo nel futuro, finendo col non vivere il presente. (Non preoccuparti troppo del domani, lascia che il domani si prenda cura di sè stesso).
- La vera LIBERTA’ sta nell’assaporare vividamente ogni frammento della nostra quotidianità. Rispondere alla domanda: << Qual è il momento più bello della tua vita? >> con un sicuro:
<< l’istante che sto vivendo ora >>.
- Abbiamo il dovere morale ed il piacere di rendere speciale ogni nostro respiro, ogni nostra azione: in macchina, a lavoro, a casa, mentre dormiamo, mentre mangiamo. Il "miracolo" consiste nell’essere semplicemente consapevoli di camminare, di avere un naso per respirare, un olfatto per godere dei profumi, due occhi per potere contemplare. Sembra tutto semplice ma l’uomo ha difficoltà a mettere in pratica proprio ciò che è più semplice e naturale.
-Non occorre necessariamente aderire ad alcun credo filosofico o religioso per potere essere una persona completa e spirituale, basta praticare mentalmente un promemoria che ad ogni respiro ci ricordi quanto è prezioso essere vivi, perché chi non ha consapevolezza ha già cessato di vivere senza rendersene conto.

Una grassa risata generale si leva fra le volte del teatro quando Thich ironizza: <<
Quando qualcuno vi loda mostrandovi quanto siete bravi e capaci, il vostro mantra più importante dovrebbe essere: << caro\cara…questa è solo la metà della verità” … allo stesso modo, però potreste usare il medesimo mantra quando qualcuno vi attacca facendoci sentire stolti, inadeguati. Anche in quel caso (dato che in ognuno di noi ci sono ombre, ma fortunatamente anche luci), la risposta più adatta sarà: << caro\cara …questa è solo la metà della verità >>.
Una grafia da lui dipinta in maniera molto spontanea e minimalista fa da monito finale: è il noto cerchio vuoto dello zen al cui interno “Thay”, con due pennellate rapide, ha scritto al suo interno: “respira, sei vivo.”
Un bel respiro… eccoci: siamo vivi.

p.s: eccovi il video che ho girato durante il canto (liccate sul link sottostante) buona visione! 
http://www.dailymotion.com/video/xthjhe_thich-nhat-hanh-canto-di-avalokitesvara_lifestyle

- ALESSANDRO DE VECCHI -







lunedì 13 agosto 2012

UNA STELLA CADENTE MI HA DETTO...


Rieccomi… rieccoci. Agosto, il mese delle partenze (anche se mai come in questi tempi di crisi economica ogni giorno di vacanza è un lusso da benedire con consapevolezza).
Scrivo queste righe senza uno scopo preciso, se non quello di voler in qualche modo usare ogni singola lettera come valvola di sfogo creativo e come oggetto catartico, un poco come uno scultore che non riesce a tenere in mano creta grezza senza trasformarla inevitabilmente in qualche soggetto espressivo.
Tra pochi giorni sarà il mio compleanno e forse, per la prima volta, non lo vedo come una ricorrenza fine a sé stessa o capace di adunare amici vicini e lontani…ma semplicemente per quello che è: un giorno che mi ricorda l’impermanenza delle cose, il flusso continuo e variabile dell’esistenza stessa. Anche la notte di San Lorenzo è trascorsa e con essa le sue stelle cadenti: ho espresso solo un desiderio, ma non per me…è inutile pensare ciecamente unicamente alla propria pseudo-felicità quando tutto il resto intorno “crolla”.
Ho pensato quindi “più in grande”: ho espresso un augurio al mondo, perché da tempo lo sento “pallido”, “anemico”, in debito di quell’ossigeno che si chiama AMORE. L’ho fatto ricordando che di quel globo faccio parte esattamente come un minuscolo tassello fa parte di un immenso mosaico…e perchè da esso quotidianamente ne ricevo frutti ed insegnamenti come un figliolo in costante crescita e maturazione.
Spero che quell’augurio possa giungere ad ognuno di voi, così come auspico che ogni persona che mi sta leggendo in questo momento possa sentirsi libera, semplicemente ricordando che nel momento stesso in cui cerchi di afferrarla o descriverla la gioia scappa, come alcol che evapora. Perciò penso sia più utile dunque non cercare la felicità, bensì essere la felicità stessa.

A presto amici! Con Affetto ....
- ALESSANDRO DE VECCHI -

giovedì 26 luglio 2012

La distrazione d'un attimo lungo una vita

Eccoci, un mese torrido e temperature roventi...come la mia voglia di tornare a raccontare :-)
Nei prossimi mesi (presumibilmente in autunno) avrò modo di condividere con voi una gioia a lungo attesa: la pubblicazione del mio terzo libro intitolato "Liberi e controcorrente come salmoni", (qui una breve anteprima : http://alessandrodevecchi.blogspot.it/p/piccola-anteprima-del-mio-prossimo.html )
Sarà il pirmo libro in cui mi sono espresso in prosa narrativa e non in poesia (si tratterà infatti di una raccolta di 14 racconti eterogenei e fra loro differenti, ma legati da un minimo comun denominatore: tutti i personaggi, uomini, donne o ragazzi che siano, provengono da difficili realtà provinciali ed in un momento di crisi globale tentano il "riscatto", la seconda possibilità che tutti cerchiamo dalla vita, per assaporare la felicità).
E' stato un lavoro infinitamente lungo (2 anni e 5 mesi di gestazione), un periodo appassionante, colmo di notti in bianco e momenti di gioia altalenati alla paura di non farcela. Nel bene o nel male dunque sarà una parte di me che libererò dal "famoso cassetto", sperando che voli ove il cielo è disposto ad accorglielo e porti, perchè no, un pizzico di sollievo e speranza a chi vorrà dedicargli tempo ed attenzione.

Ma ora torniamo al presente e non  anticipiamo troppo quel che verrà in autunno: non ho abbandonato del tutto la poesia e vorrei lasciare questi miei pochi versi impressi qui, per ricordare come  spesso spendiamo le nostre giornate sospesi come equilibristi che trattengono il fiato fra mille progetti di vita e duemila promesse rivolte al futuro. Chiudiamo gli occhi ogni notte auto-ipnotizzandoci con delle frasi fatte quanto fasulle: 'domani farò'...'più avanti farò quella telefonata, chiamerò quella persona'. Poi arriva un bel giorno in cui il sole che sorge ci suggerisce che il tempo a nostra disposizione è scaduto...a quel punto realizziamo che sono solo rimpianti quelli che ci stanno accarezzando le spalle.

 
LA  DISTRAZIONE  D’UN  ATTIMO  LUNGO  UNA VITA

Non se n’è accorta.
Distrattamente,
come sbadatamente ci si accorge
dell’ultimo rivolo d’acqua d’una doccia mattutina.
Quella goccia
che sosta più a lungo sul nostro viso,
quasi a volerlo baciare
dopo averlo amorevolmente deterso.
Non l’ha notato,
ma ero io quella conclusiva stilla
d’acqua pura.
Non l’ha avvertito,
ma era esattamente lei
la sola persona
che non aveva bisogno di alzarmi il mento
per incrociare i miei occhi,
poiché il magnetismo dei suoi
eclissava ogni altra visione circostante.
Il vero amore è così:
può posarsi sul tuo collo
senza che tu lo percepisca,
o confonderlo per prurito
ed incautamente soffiarlo via.
Non l’ha intuito,
ma quel solletico che avvertiva,
eran le mie ali,
che le accarezzavan quel grazioso ciuffo
di capelli dietro l’orecchio…
prima che la sua mano
spensieratamente
mi scostasse via.
Il tutto in un attimo:
la distrazione d’un attimo
lungo una vita.

- ALESSANDRO  DE VECCHI –



venerdì 6 luglio 2012

"La Via della felicità interiore", un pomeriggio col Dalai Lama


6-07-2012: oggi è un compleanno particolare, quello di Tenzin Gyatzo, il XIV Dalai Lama, premio nobel per la pace del 1989 e figura spirituale che non ha bisogno di ulteriori presentazioni.
Queste poche righe non vogliono essere un'augurio personale, ma qualcosa di più…un ringraziamento (che con voi tutti condivido) per qualcosa di straordinario a cui ho avuto il privilegio di assistere la scorsa settimana.
Sono uno dei 10 mila presenti che Giovedì 28 Giugno affollavano le volte del Forum Milanofiori per assistere all’evento  “La via della felicità interiore”, durante il quale il Dalai Lama ha elargito con un mix di saggezza e leggerezza, semi d’insegnamenti gradevolissimi e dissetanti, destinati a crescere in ognuno di noi.
Tenzin Gyatzo ha esordito con un messaggio molto chiaro: << Non sono qui per fare un discorso religioso, non occorrono necessariamente un ‘credo’ o una serie di ‘paletti’ per raggiungere il nostro scopo, ma semplicemente ricordare che tutti abbiamo in comune la ricerca del senso del vivere e della felicità. Incontrare gente e scambiare le nostre esperienze è per me occasione e fonte di grande apprendimento. Le vostre domande mi offrono punti di vista nuovi, grazie ai quali imparo nuove prospettive…questo può accadere anche a voi.
Ogni volta che ho l’opportunità di parlare alla gente mi sento uno tra i tanti tra i sette miliardi di esseri umani. In questo siamo tutti perfettamente uguali >>.
Queste parole hanno avuto immediatamente su di me un forte impatto, dal momento che, come ho più volte raccontato, credo umilmente d’essere “un semplicissimo libero pensatore, scevro da qualsiasi dogma e da qualunque religione, che osserva meravigliato l’unità costituente comune che si può rintracciare nella totalità, all’interno e all’esterno di ciascuna realtà si manifesti ed anche oltre: al di là di ciò la nostra limitata essenza umana possa concepire…persino nei nostri stessi tessuti fisici o nei pensieri che sorgono in noi. Tutto ciò poiché osservatore ed osservato combaciano ed evidentemente i concetti d’interno ed esterno coincidono in quell’uno-tutto di cui il cosmo è pervaso”.
In due ore abbondanti, il Dalai Lama ci ha regalato le seguenti considerazioni, intervallandole con il suo consueto sorriso contagioso e abbondanti dosi d’ironia tipica di chi è capace di non mettersi in cattedra come un saccente docente, quanto piuttosto risvegliare la coscienza collettiva, mettendo l’accento sul fatto che: << Nella vita siamo tutti maestri ed al contempo tutti alunni >>.
Da qui il leader spirituale tibetano, inanella una serie di piccole perle, che ancora oggi sento riecheggiare nei viali affollati della mia mente.
<< La felicità nasce dalla fiducia e dal calore umano. Comunicando tra noi e pensando che siamo tutti ugualmente bisognosi di felicità, scopriamo che siamo sfacciatamente identici nell’avere il diritto ad essa. Con questa prospettiva non ci possono essere fratture. Se poniamo invece l’attenzione solo alle differenze e ci armiamo di sospetto, allora sorgono discriminazioni e sono queste ultime che portano all’odio e alle guerre. Tutto ciò è facilmente riscontrabile anche in ambito famigliare: se c’è una persona fortemente individualista nasce la mancanza di fiducia, manca l’affetto >>.
<< Occuparci della felicità degli altri è il modo migliore per giungere noi stessi inconsapevolmente alla nostra completa felicità. Occorre pensare su scala grande, all’umanità nella sua interezza. Spesso cito un motto degli abitanti delle Hawaii: ‘il tuo sangue è il mio. Le tue ossa sono le mie ossa’. Questo significa che i tuoi problemi, le tue sofferenze, la tua felicità sono le mie. Per poter vivere abbiamo bisogno degli altri, ce lo insegna l’inter-dipendenza della natura. Il massimo beneficio per noi stessi è prenderci cura dagli altri, questo è il modo intelligente di essere egoisti. Anche quando si parla di interessi economici, dobbiamo ricordarcene: il vivere non poggia il proprio scopo su regole religiose bensì sull’intelligenza, la quale è potenzialmente in grado d’eliminare gli svantaggi. A volte parlo con alcuni miei amici ricchi ma soli, ricordo loro che quando sono depressi non trarranno alcun beneficio nel dare baci ai diamanti. A quel punto è meglio avere un piccolo animale domestico da accarezzare…magari un gattino che almeno ti fa le fusa. Pensare che la ricchezza sia la fonte principale della felicità è sintomo di uno dei tre principali veleni della mente: l’ignoranza” .
Eccoci alla fine col Dalai Lama  che ironizza su suoi acciacchi: << il prossimo mese compirò 77 anni, sono un uomo del XX secolo e me lo ricorda spesso anche il mio corpo. A proposito: quanti di voi hanno subito un intervento alla cistifellea? (mani alzate tra i presenti e sua esclamazione che suscita ilarità ed abbondanti risate: - Bene sono felice di sapere che sono in buona compagnia! – ).
Il secolo appena passato è stato quello delle scoperte scientifiche, ma ahinoi anche quello dei conflitti mondiali ed è stata usata la bomba atomica. Persino l’inizio di questo secolo è stato teatro di tristi vicende che però affondano le radici nel secolo scorso. Proviamo a fare di questo nuovo tempo l’alba del dialogo >>.
L’aria condizionata fra le tribune dona un po’ di refrigerio e tregua al variopinto ed eterogeneo popolo che ha sfidato il calore rovente di questo pomeriggio. Le mani si spellano all’unisono durante il congedo:
<< Se le cose che ho detto possono esservi utili ne sarò lieto, altrimenti cancellatele e fate conto che io mi sia scusato con voi. Pensateci su con la vostra testa , non obbedite mai, ma riflettete sempre >>.
Mai insegnamento poteva essere più umile ed alto.
Grazie di tutto Tenzin e auguri! Cento di questi giorni!
- ALESSANDRO  DE  VECCHI -

lunedì 11 giugno 2012

La bellezza salverà il mondo (Springsteen, San Siro 7-6-12, come la musica può guarire l'anima collettiva)


La bellezza salverà il mondo affermava Dostoevskij. Niente di più vero. Laddove tutto sembra inesorabilmente fallire (potere politico, economia, banche, ideologie), c’è davvero una forza che non può essere arrestata ed è costantemente in grado di mostrarci quanto di buono il nostro esistere contenga: è il potere contenuto nella bellezza, nella gentilezza, nell’amore e nella contemplazione della magnificenza di cui ognuno di noi, nel suo piccolo, è parte attiva.
Giungo a queste conclusioni dopo aver inconsapevolmente concesso, ad un uomo di 62 anni suonati, la possibilità di salvarmi la speranza ed il sorriso. Questo arzillo “benefattore” risponde al nome di Bruce Springsteen: rockstar planetaria ed icona della musica popolare statunitense, nonché personalità che non ha bisogno di presentazioni, dato che da ben 4 decenni è detentore del celebre soprannome “The Boss” (il capo). Un nomignolo guadagnatosi dopo aver sprigionato ettolitri di sudore e milioni di Watt energetici nella lunga gavetta che ha preceduto la sua consacrazione, ma appunto un “nickname” e come tale, per lui una semplice etichetta a cui, lontano dai riflettori, pare non dare assolutamente né peso né importanza.
Le mani che scrivono queste considerazioni sono due fra le oltre 180 mila che Giovedì 7 Giugno 2012, dalle ore 20.37 in poi, hanno vissuto (utilizzare il termine “assistere” o “essere spettatore” per un concerto di Springsteen è assolutamente improprio) ad un autentico miracolo dai connotati catartici e collettivamente redentori.
Ho aspettato appositamente che trascorressero alcune ore, prima di mettermi alla tastiera e cercare di plasmare le parole più adatte a descrivere questa serata. L’attesa era necessaria per svariati motivi: cercare innanzitutto di lasciare che l’adrenalina in circolo nella mie vene lentamente evaporasse e facesse posto ad una mente più lucida ed obbiettiva. Ma soprattutto distaccarmi sufficientemente, allo scopo d’avere una visuale completa della vetta e rendermi quindi conto della natura e delle proporzioni dell’evento da cui sono stato letteralmente investito.
Una volta svolta questa non facile operazione la domanda che più frequentemente mi ha invaso le meningi è stata: << Ed ora come faccio a trovare i vocaboli adatti a contenere così tanta grandezza e luce senza inciampare in una retorica tacciabile di fanatismo? >>
Gli orientali descrivono il Nirvana come: “ uno stato di beatitudine non descrivibile, solo sperimentabile”. Tornando invece in occidente lo stesso Springsteen ed altri noti musicisti espressero anni orsono concetti più io meno rissumibili in frasi del tipo: << Parlare di musica e della sua misticità è come tentare invano di descrivere il sapore della pasta a chi non l’ha mai mangiata o cercare di dare una definizione d’amore…molto meglio imparare queste cose vivendole attraverso dimostrazioni pratiche, no? >>.
Ecco! Ci siamo! Ho risolto il primo problema: non sono un giornalista e quindi al diavolo lo sforzo d’essere pateticamente asettico, che traspaia pure il fatto che in quelle 3 ore e 47 minuti mi sia sciolto in un impasto di emozioni e grida!
Resta comunque la seconda problematica: esistono sentimenti e sensazioni così nobili da non potere essere compresse né ridotte a vuote spiegazioni, del resto mi consolo rileggendo un famoso adagio che recita: << Si dice che il mondo sia diviso tra chi adora il Boss e chi ancora non l’ha visto dal vivo >>, per cui mi rassereno e piacevolmente mi arrendo…scrivo queste righe con l’unico scopo di ricordare a me stesso quanto una serata ed i suoi singoli frammentati “istante per istante” possono essere preziosi per rimembrarci e rilanciare il valore inestimabile della vita.
I biglietti dello show (prontamente acquistati nello scorso Dicembre) sono rimasti in una vetrina della mia sala, osservandomi quotidianamente per 7 lunghi mesi, prima di finire nelle tasca del mio zaino, per l’occasione degno d’una puntata di “turisti per caso”.
Alle ore 16 ho già superato Settimo Milanese e parcheggiato la mia auto al parco Trenno. Giro le chiavi nel cruscotto e spengo motore ed autoradio (nella quale ovviamente girava un cd di Bruce), ci attenderà una lunga passeggiata verso lo stadio di San Siro. Fa caldo nonostante i nuvoloni plumbei che lassù sembrano minacciare di voler guastare la festa al popolo Springsteeniano.
Si fa conoscenza di altri ragazzi “in marcia”, è l’occasione buona anche per addentare un paio di panini ben farciti…dopo due morsi li ridepongo: niente da fare ho lo stomaco chiuso come una gabbia dal catenaccio dall’emozione. Non è il primo concerto del Boss, ma ogni volta è come se lo fosse e il tremore si ripete uguale e nel contempo diverso.
Due foto di rito davanti all’ingresso 14 e si entra. Rapida perquisizione, svito la bottiglia e le do un colpo di frusta col collo svuotandone i liquidi quasi per intero dentro al mio corpo.
I tornelli sono inagibili, si sale gradino per gradino in quella che ha tutte le sembianze di una processione infinita verso il secondo anello blu.
Inizia un’attesa snervante, in un paio d’ore prato e spalti sono stipati sino all’ultimo posto disponibile. Ore 20,30: il colpo d’occhio ti stronca il fiato! Lo stadio sembra una polveriera pronta ad esplodere al primo sussulto, parte una ola degna della finale dei mondiali. Le gradinate vibrano appoggiandosi al costante “ohhhhhh” che accompagna vocalmente la spasmodica attesa della E Street Band e del suo leggendario sciamano.
Sulle note di “C’era una volta il West” uno alla volta entrano i 17 “Blood Brothers” accolti dall’unica scossa tellurica di cui ogni uomo vorrebbe esser parte. Ci sono quasi tutti: Gary, Max, Soozie, Nils, Roy, Charlie, Cindy, Jake, ecc…ho specificato con dolore quasi tutti perché ne mancano due: Danny “The Phantom” Federici (il tastierista tragicamente scomparso nel 2008, consumato da un melanoma) e l’indimenticato “totem umano” dalla pelle color ebano, Clarence “Big Man” Clemons (sassofonista e amico fraterno del Boss, deceduto a causa d’un ictus lo scorso Giugno). Sul palco due luci illuminano due spazi vuoti a simboleggiare due perdite umane inestimabili, due cicatrici sanguinanti ancora aperte nell’epidermide morale di tutti i presenti. Addirittura un quintetto di fiati (tra cui anche il 22 enne Jake Clemons, nipote di Clarence) ha la pensante eredità di non far sentire, per quanto possibile, la sua assenza. Un fragore inaudito accompagna e precede il carisma del chitarrista “Little Steven”, ma è solo il preludio all’apoteosi che va in scena all’ingresso di Bruce, con la mano destra brandisce la storica Fender Telecaster, quasi fosse un’arma in grado di sparare amore: << Ciao Milano! Siete pronti? Siete Pronti? Siete Pronti? >>. Quella domanda, ringhiata nel microfono con la grinta d’un domatore di folle, squarcia il cielo in due, quasi a voler spazzar via le nubi fisiche e reali e quelle metaforiche che ingrigiscono il futuro. Ha inizio il delirio, la gente non guarda il concerto, la gente fa il concerto in un unione simbiotica con lui ed ogni altro membro, in un tutt’uno alchemico e cosmico. Ci sono almeno tre generazioni presenti in una staffetta senza tempo. Max alla batteria pesta come un dannato e le chitarre ruggiscono l’intro di “We take care of or own” ( << Ho bussato alla porta dietro a cui sta il trono\Ho cercato la mappa che mi conduca a casa\Ho inciampato su cuori buoni diventati di pietra\La strada delle buone intenzioni si è seccata come un osso\Ci prendiamo cura della nostra gente? >>)
E’ solo la prima pietra di un mosaico perfetto che sarà composto da 33 gemme, una maratona di puro rock ‘n’ roll, folk e gospel, che sfiorerà le 4 ore dall’intesità inaudita! Un record, un atto di passione fra Bruce e la sua gente che ha origine in quel folle amore a prima vista con l’Italia, proprio in questo luogo, il 21 giugno del 1985.
Seguono “Wreckin Ball” , titolo mai così azzeccato: quella palla demolitrice simboleggia la più totale mancanza di valori, che come una sfera d’acciaio sta abbattendo la nostra civiltà.
Badlands è il classico d’oltre trent’anni: il suo ritornello fa saltare sui gradini anche il più algido dei cuori.
E’ il momento dell’hard folk irlandese di “Death to my hometown” .
“My city of ruins” è la prima ballad e con il suo lento vento prosegue la scia emotiva di coscienze che immediatamente vanno idealmente alle rovine delle città emiliane coinvolte dalle impietose e ripetute scosse sismiche.
Springsteen avverte dapprima nuovamente in italiano: << Questa è una canzone di saluti e arrivederci, per le cose che ci lasciano e le cose che rimangono per sempre >>. La dedica è chiara sin dall’inizio ma si fa più netta a metà canzone, durante il ritmico battere delle mani levate al cielo, quando il rocker improvvisa un nuovo intervento nella nostra lingua e ad uno ad uno presenta gli elementi della “Heart-stopping, pants-dropping, house-rocking, earth-quaking, booty-shaking, Viagra-taking, love-making…legendary  E Street Band! “ (la ferma cuori, cala pantaloni, rockeggiante, terremotante, scuoti-culo, consumatrice di viagra, amante…leggendaria E Street Band!)
Bruce gigioneggia: << Dov’è Patty? >> ( sua moglie, nonché corista della band) << E’ rimasta a casa con i figli, ma vi saluta tutti >>.
Le mani dell’oceano umano di spellano per diversi minuti fino a quando Bruce dona il colpo di grazia diretto ai 60 mila stomaci: << Manca qualcuno…manca qualcuno…manca qualcuno! >>. Il riferimento a Danny e a “Big Man” è chiaro e sui maxi schermi s’intravedono gli occhi in lacrime di gente nelle prime file. Uno striscione a due aste inquadrato ribadisce una verità inconfutabile: << Danny e Clarence sono qui >>. Il Boss affonda: << Posso sentirli nelle vostre voci >> e con ampi gesti ci invita a sgolarci. Lo stadio impazzisce spolmonandosi come se quel boato fosse davvero il ponte comunicativo con chi ci ha lasciato.
“Spirits in the night” e “The E Street shuffle” sono ruvide come il marmo e senza sosta.
Giunge la struggente “Jack of all trades”, pezzo che dipinge chirurgicamente lo spaccato socio-esistenziale di chi, piegato dalla pesante crisi economica globale, si reinventa come “uomo-tuttofare”. Il menestrello del New Jersey si prodiga ad introdurre le prime note con l’ennesimo toccante discorso in lingua italiana, la simpatica ed imbarazzata pronuncia riesce anche a suscitare tenerezza: << I tempi sono stati molto duri, la gente ha perso il lavoro, la casa e c’è pochissimo lavoro. So che anche qui è stato durissimo ed i recenti terremoti hanno contribuito a questa dolenza. Questa è una canzone per tutti quelli che stanno lottando >>. Migliaia di accendini si mischiano ai bagliori dei display dei cellulari accesi, pare di volteggiare privi di forza di gravità, in un firmamento notturno profondamente blu, trapuntato di polvere di stelle luminose.
Ma “the show must go on” e questa sarà anche e soprattutto una notte di speranza e celebrazione dell’esserci, nonostante tutto! Così la band infila con maestria una sequenza di puro rock ‘n’ roll “old style” al fulmicotone: “Candy's room”, “Darkness on the edge of town”, “Johnny 99”, “Out in the street”, “No surrender”, “Working on the highway” e “Shackled and drawn”, prima di prendere il definitivo decollo con “Waitin’ on sunny day”...dove per il ritornello il Boss si trasforma in “premuroso nonno” cedendo il microfono ad una bimba e per non creare disparità anche al fratellino.
Sono probabilmente questi gli atteggiamenti che fanno di lui non un persona perfetta (e ci mancherebbe altro), ma senza dubbio una persona speciale, lontana mille miglia da quegli stereotipati atteggiamenti da consumata rockstar maledetta e dai classici clichè che vedono il divo chiamare “on stage” la classica bellona di turno.
Intanto intorno a me anche i più scettici o coloro che per la prima volta vedono uno show di Springsteen (ed i loro volti spaesati prima del concerto li avevo intravisti e letti al volo) si sono ormai calati completamente nel catino ribollente di passione e mi guardano quasi a volermi dire: << Ma come ho fatto fino ad adesso a perdermi un appuntamento umano simile? >>. Il segreto di tutto sta nella semplicità: niente effetti speciali o chissà quali diavolerie scenografiche, la magia sta nella musica, diretta, senza fronzoli e nel temperamento di un uomo circondato dai suoi amici di sempre, che sa parlare “alla pancia” di chi lo ascolta.
Bruce canta e suona ogni canzone come se da essa dovesse dipendere la sua esistenza, come se davvero fosse l’ultimo istante della sua e della nostra vita. Bruce non fa musica per te, bensì con te. Ogni vibrazione, ogni fottutissima emozione secondo lui deve poter arrivare ugualmente al ragazzo in prima fila così come all’ultimo seduto al terzo anello, lontano nello spazio, ma mai nel cuore.
C’è un’istantanea che conservo preziosamente nel mio grembo d’animo e che fotografa alla perfezione cosa può arrivare a fare la musica: i ragazzi diversamente abili in carrozzina erano concentrati in una zona del prato con una sorta di pedana rialzata che consentiva loro d’osservare meglio lo show. A metà concerto erano tutti sparpagliati lungo il prato e si spingevano con le proprie mani ruotando le carrozzine su se stesse a tempo di musica, per ballare e far festa accanto a chiunque.
L’armonica a bocca di “The Promise Land” mi lascia paralizzato, ma mai quanto lo Springsteen intimo che si siede al pianoforte solo e sussurra “The Promise”: ti sembra di averlo ad un metro, con una pinta di birra doppio malto, lì in una notte in cui il mondo pare esserti crollato addosso e lui sembra capirti, dedicandoti una “perla” che ti scalda il cuore infranto e crepato come un cubetto di ghiaccio: << Beh, mi ero costruito quella Challenger da solo,ma avevo bisogno di soldi e così l’ho venduta\Vivevo con un segreto che avrei dovuto tenere per me,ma una notte mi sono ubriacato e l’ho rivelato\Per tutta la vita ho combattuto una battaglia che nessun uomo può vincere\Ogni giorno diventa sempre più difficile far vivere il sogno in cui credo\oh piccola, avevi così ragione...qualcosa muore sull’autostrada stanotte >>.
Da quel preciso istante tutti capiamo che non sarà più una serata comune, nell’aria annusiamo qualcosa che sembra un monito: qui si sta scrivendo la storia e così sarà, mentre la cute increspata fa capolino sulle braccia di ognuno di noi, durante il falsetto di “The River”. Il finale è speranzoso e profetico : “The Rising”, “Radio Nowhere”, “We are alive” e “Land of hope and dreams”.
Si spengono le luci ed i ragazzi escono per meno di 120 secondi. Ci si aspetta un paio di bis, ma nel libro del destino c’era scritto che la quarta notte al Meazza del Boss sarebbe stata qualcosa di epico e da tramandare ai posteri. I bis sono ben 10! In pratica inizia un altro concerto senza fine, ogni pezzo sembra dover chiudere ed essere l’ultimo, ma il "mostro" che è in lui sembra non aver più né la voglia né il coraggio di lasciarci e spezzare quello che sembra essere un incantesimo. Attacca il finale alla canzone che sta per nascere senza soluzione di continuità. Il solo intervello è l’ormai celebre grido: << One, two, three, four >> che intercorre fra le varie  “Rocky ground”, “Born in the U.S.A” ( questa l’hanno cantata anche i seggiolini), “Born to run”, che mi vede arrampicarmi alla trasenna in preda all’estasi più totale durante la strofa: << Un giorno ragazza, non so quando, arriveremo in quel posto dove davvero vogliamo andare e cammineremo al sole\Ma fino ad allora i vagabondi come noi sono nati per correre >>. “Cadillac ranch” e le festose “Hungry heart” e “Bobby Jean”  mettono a dura prova le nostre resistenze, ma è su “Dancing in the dark” che avviene l’ennesimo siparietto che lega in modo inimitabile il Boss al suo popolo: una ragazza mostra il suo personale cartello-richiesta: “Can I dance with Jake?” ( a proposito: vedere Jake con quel sax dorato è una stilettata al cuore, dato che è tremendamente simile allo zio sia nella carnagione che nella stazza fisica). Presto fatto: Bruce l’accontenta e la prende per mano portandola dal giovane nipote del compianto Clarence, impegnato in un poderoso assolo di sax, la fortunata si scatena al suo fianco mentre invece “Il Capo” balla con un ragazzino anche lui scelto a casaccio fra le prime file, poi Springsteen, da perfetto show man, si finge geloso e ottiene l’effetto d’essere travolto ed abbracciato dalla giovane ballerina che l’abbraccia e lo riempie di baci fra lo stupore generale. Un vero inno alla gioia! La mezzanotte è abbondantemente scoccata, ma Bruce non è Cenerentola e neppure vuole saperne di togliere la corrente, si va avanti ad oltranza! E’ il turno di “Tenth avenue freeze-out”, arcaica canzone il cui testo narra in maniera leggendaria l’incontro avvenuto fra Bruce e Clarence.
Sulla strofa: << Quando le cose cambiarono in periferia e Big Man si unì alla band >>. La musica si blocca come un giradischi impallato e con essa anche il corpo del Boss sembra assumere la posa plastica di uno spaventapasseri. Sul maxi-schermo centrale scorrono le immagini di 40 anni d’amicizia fraterna che ha legato i due sin dai tempi difficili ed assurdi in cui negli U.s.a gli uomini di colore non potevano salire sugli stessi autobus dei bianchi. La folla grida ripetutamente il nome di “Big Man” mentre Bruce pone il microfono nella nostra direzione, come a volerci invitare nuovamente a spingere sulle nostre corde vocali per fargli sentire in nostro affetto ovunque egli ora sia.
L’ultimo fermo immagine è un fotogramma mostra gli occhi di Clemons. Le mie pupille invece le ho nascoste dietro alla mia macchina fotografica, per il pudore di farmi vedere con gli occhi gonfi al punto d’aver inzuppato totalmente le lenti a contatto, con risultato di non vedere niditamente più nulla.
Bruce finge di non avere più fiato, si sdraia per terra dicendo: << Stop, please >>, a quel punto è “Miami” Little Steven che entra in gioco comicamente, bagnando un'enorme spugna d’acqua e gavettonando il suo condottiero che prontamente si rimette in piedi e come Clark Klent si tramuta in Superman e sfodera generosamente altre due songs: “Glory days ” e l’orgasmo finale di “Twist and shout”. L’ultimo riverbero rintocca a mezza notte e venti: 3 ore e 47 minuti dopo il primo vagito! Il secondo concerto più lungo ed inteso di tutti i tempi! (il primo appartiene anch’esso a lui, ma risale ad un concerto del 1980 al Nassau Coliseum, non certo all’odierna età di 62 primavere).
Ci si guarda increduli, idealmente ci sia abbraccia tutti quanti attorno a lui ed ai suoi “fratelli di sangue”. Bruce è commosso,trattiene a stento l’emozione e ha l’aria di chi sa che se non volta le spalle adesso non sarà più in grado di farlo. Si congeda con un: <<Arrivederci Milano >>, dopo che qualche manciata di minuti prima aveva ammesso con toni tutt’altro che ruffiani o di circostanza: << Questo è un posto speciale per noi, siete i numeri uno! >>.
Qualcuno non se la sente di abbandonare il campo di battaglia, qualcun altro teme che quel suo congedarsi con quelle palpebre tremanti ed in bilico nel trattenere i lucciconi dopo il “concerto della vita”, sia stato una sorta di tacito addio a questo stadio ed a questo tipo di tour.
Io non so cosa dire né cosa pensare. Preferisco concentrarmi sull’adesso e godere del sole che quest’uomo è stato in grado di portare nelle stanze più fredde e buie del mio intimo, laddove non spirava soffio vitale da tempo e la parola futuro era sepolta sotto strati di polvere e ragnatele. Una chitarra giace al mio fianco e sembra volermi invitare a ballare con lei.
La bellezza salverà il mondo, ne sono certo...oggi più di ieri.

 - ALESSANDRO  DE VECCHI -

martedì 29 maggio 2012

Gesti concreti per le vittime del terremoto in Emilia



http://notiziein.it/2012/05/29/terremoto-oggi-emilia-come-aiutare-con-un-sms-o-telefonata/


Sono diverse le iniziative di solidarietà messe in atto per aiutare le vittime del terremoto in Emilia.
SMS al 45500: la Protezione Civile ha disposto un numero per aiutare concretamente le popolazioni colpite dal sisma: a partire da stasera alle 19:00 è possibile inviare un SMS da cellulare o telefonare da fisso al 45500 al costo di 2 euro. Lo rende noto il capo della Protezione Civile Franco Gabrielli.
Versamento su conto corrente: il Corriere della Sera e Tg La7 hanno indetto la raccolta di fondi “Un aiuto subito. Terremoto in Emilia” per le popolazioni colpite. I versamenti si possono effettuare al conto corrente IT73L0306905061 100000000671. presso Banca Intesa Sanpaolo, viale Lina Cavalieri, 236 – 00139 Roma.
Ospitalità: il sito Couchsurfing, utilizzato da chi vuole viaggiare con scambio di posti letto, ha messo in atto una rete di ospitalità temporanea.  E' possibile offrire la propria disponibilità, specificando il numero di posti a disposizione, la durata e il luogo.

lunedì 14 maggio 2012

Buon 1° compleanno Blog! un anno insieme a voi!

Maggio 2011-Maggio 2012: un anno di blog! La fiamma della prima candelina sulla torta di compleanno...immagino lo stoppino che sostiene l'incandescente flusso fluttuante e le nostre oltre 10 mila visite pronte a soffiare, ognuno col proprio desiderio. Voglio assolutamente evitare la retorica , ma vi assicuro che questo primo anno INSIEME è stato un anno colmo di tutto: di gioie, di dolori, di insegnamenti e di crescita continua: ogni "post" , gni parola, ogni video, ogni "frase del giorno", condivisa nei vari spazi comuni, è divenuta quotidianamente parte delle molecole che fanno parte del nostro "tessuto epidermico-spirituale comune".
Perciò oggi voglio ringraziare TUTTI, perchè questo spazio senza di VOI non esisterebbe, come nulla può esistere in maniera completamente autonoma ed egoisticamente isolata. Grazie a chiuque abbia lasciato una traccia, a chi è anche solo passato distrattamente a chi ha trovato giovamento, a chi ha criticato ed a chi  ha donato a me e a tutti gli altri  una parte di sè.
Non saprei davvero come ringraziarvi, per cui mi limito a dedicarvi queste parole scritte di getto ed in modo spontaneo.
Tutto ciò che dico o scrivo, nel bene e nel male, è semplicemente il frutto di pensieri personali e di quotidiana crescita introspettiva. Come si sa però questi sono mutevoli ed in perenne evoluzione, per cui rileggendomi e riascoltandomi fra qualche tempo potrei non ritrovarmi più completamente in ciò che io stesso ho espresso.
Questa considerazione la faccio solo per chiedervi di prendermi per quel che sono, nella mia incompletezza e mai troppo sul serio.
Anzi, a pensarci bene credo che ognuno di noi non debba assolutamente prendersi né poco né troppo sul serio, poiché non si può fare commercio di spiritualità e troppo spesso ci imbattiamo in numerosi “pseudo-santoni” o venditori di presunte miracolose certezze.
Qualche sano dubbio, una certezza radicata in meno e due sane risate in più (anche riguardo a noi stessi) non possono che farci del bene ed innaffiarci d’umiltà e saggezza.
Nel mio piccolo ho semplicemente tentato di capire, passo dopo passo, che la prima rivoluzione da fare è quella dentro se stessi: non puoi mutare nulla di ciò che percepisci al di fuori di te se prima non ti affacci al tuo interno, addentrandoti senza paura. Consapevole del fatto che ciò che hai visto all' esterno non è altro che la proiezione di uno dei tuoi tanti specchi nascosti.
Ho provato a intuire quanto non possa sussistere nulla dotato di un' esistenza propria, immutabile ed indipendente dal resto del creato.
Tutto ciò che notiamo, persino ciò che sbrigativamente definiamo “io- mio”, non è nient’altro che un tutt’uno interdipendente da altri fenomeni e da fattori indispensabili. In termini più semplici, facendo esempi che facilmente chiariscono più di inconcludenti e fumosi virtuosismi intellettuali (i quali finiscono solo con l’annoiare): noi non siamo unicamente ciò che possiamo toccare o ciò che è circoscritto dai confini visivi e tattili…siamo il frutto di ciò che abbiamo appena mangiato, bevuto, respirato e persino pensato. Siamo un’emanazione continua e mutevole del flusso energetico di cui facciamo parte.
Una nuvola è pioggia, così come la pioggia stessa è a sua volta nuvola.
Un frutto è anche la pianta che lo ha sostenuto, nonché il seme che lo ha generato e così via.
I colori verde, blu , rosso, ecc…dipendono dalla luce, la quale assorbe tutte le tinte esistenti tranne quella che poi ci giunge agli occhi. Persino il bianco è dipendente dal “frullato coesistente” di tutte le pigmentazioni riunite nello spettro della luce, così come invece il nero ha origine dalla mancanza di tale luminosità.
Insomma tutto è figlio delle leggi naturali di “principio-conseguenza”.
Comprendere con umiltà quando sia sciocco soffrire per cause illusorie come l’affermazione del proprio “ego” è la pietra che spezza la catena, l’acciarino che accende il fuoco della serenità.
La stessa serenità della quale, qualche giorno fa, sono stato piacevolmente invaso fino ad avere un sorriso bello come una luminosa mezza Luna. La causa della mia bocca in festa questa volta è stata un’adorabile chiaccherata.
Questa causa è dunque stata dunque “madre” di un’emozione a cui ho dato il nome “felice pace inconscia”.
Amo prendermi un po’ in giro, fare dell’auto-ironia e pensare che in qualche modo la mia coscienza sia semplicemente un poco come l’acqua di uno stagno: riflette tutto ciò che transita nei suoi pressi ed appare probabilmente più piacevole quando l’armonia di ciò che è solare la irradia.

P.S: ALTRE  CENTO  DI  QUESTE  CANDELINE   A  NOI  TUTTI !! (LOVE, PEACE AND FREEDOM)

- ALESSANDRO  DE  VECCHI -

lunedì 30 aprile 2012

* (tra parentesi)...un ulteriore piccolo augurio personale...

Non uso praticamente mai questo spazio per messaggi personali...lo considero come più volte ho scritto "una piazza comune" , talmente intima da vivere di sussurri e bandire assolutamente i megafoni.
Ho utilizzato questo mezzo in maniera un po' differente solo una volta, a Settembre dello scorso anno, per una ragione umana  validissima: per mostrare tutta la vicinanza spirituale possibile ad una persona importante che attraversava un momento delicato. A quanto pare il destino ha deciso che è arrivato il momento di farlo ancora e nella medesima maniera: discreta, silenziosa, non invadente né chiassosa.  
Da qui, oggi come allora, sussurro il mio augurio. Non servono altre futili parole, chi deve leggere sa perfettamente tutto ciò che stò augurandogli. 
Col cuore intero. Ale

venerdì 20 aprile 2012

Il profumo dei dubbi. (Un racconto di fantasia e vita)

La rossa insegna luminosa “on air” si era da poco accesa, brillava come un rubino dalle sfumature cangianti, avvertendo chiunque stesse sostando fuori dall’ingresso, che si era in onda.
La rugginosa porta metallica era sempre rigorosamente chiusa durante le dirette e separava la minuscola saletta insonorizzata dal resto dello scantinato.
Il suo aspetto richiamava i colori della radio (il blu ed il rosso) e sopra d’essa si stagliava un enorme adesivo fosforescente, i cui caratteri cubitali “Free Way Radio”, parevano li quasi appositamente a rattoppare la porzione più sgangherata dell’accesso…quella che senz’ombra di dubbio necessitava d’una riverniciata imminente.
Angelo e Dario erano da lustri ormai soprannominati “i cugini d.j.”. Non v’era abitante di Corciano che non li conoscesse e che non avesse speso almeno una sera in quella mitica “radio libera”, una delle ultime a resistere, quasi donchisciottescamente, al cinismo di una civiltà che tutto spazza via e altrettanto facilmente dimentica.
La radio copriva a mala pena il raggio di una cinquantina di chilometri: quando andava di lusso la si poteva udire ad ovest fino al lago Trasimeno e ad est sino a Perugia.
Eppure per molti ragazzi, ormai divenuti padri di famiglia, quel piccolo “bunker” era e rimaneva uno scrigno di ricordi e valori da difendere coi denti e col sangue.
Angelo divenne il coordinatore degli speakers volontari il giorno in cui il “padre morale” dell’emittente migrò a Londra per ragioni professionali ed umane. L’inseparabile cugino invece lo seguì, come sempre aveva fatto, anche in quest’avventura.
Per entrambi si trattava ovviamente di un hobby, ma la passione d’ambedue era davvero costante, roba da far impallidire chi la radio la fa per professione: 15 anni di impegni sempre mantenuti con gli ascoltatori, turni mai dimenticati o presi sotto gamba ed una forte capacità di coinvolgere altri ragazzi disposti a dedicare il proprio tempo libero.
Dario era da sempre un grande appassionato di musica “beat”, poteva davvero lasciarti senza parole, citandoti singoli e date d’uscita di ogni “pietra miliare” di quegli anni.
Angelo era invece un fanatico della letteratura e dei libri, al punto d’aver creato una trasmissione in tarda sera, durante la quale leggeva aforismi e stralci di grandi autori, per poi rispondere alle telefonate ed amabilmente ingaggiare discussioni che vertessero su qualunque appassionante tema della vita.
Un bel quadretto insomma: una radio “fai da te”, un manipolo di amici simpatici e rustici, proprio come il sistema d’isolamento acustico alle pareti, spartanamente composto da semplici collage di contenitori porta uova.
Quel curioso giovedì 26 Gennaio, un cd girava sul lettore come un presagio quasi profetico: "The times they are a-changing”. Dopo troppi mesi di mediocrità emotiva, molte cose stavano per prendere tacitamente una nuova ed inaspettata piega, come le vele d’un vascello a lungo ancorato e bruscamente sul punto di salpare senza preavviso...ma di questo, in quel crepuscolare momento, nessuno ne era ancora conscio.
La vita di Angelo, negli ultimi tempi, aveva spesso avuto le sembianze di un percorso ad ostacoli. Nastri ininterrotti e munifici di peripezie e traversie umane.
Ogni aspetto esistenziale non lo aveva risparmiato affatto di colpi di scena poco gradevoli, infliggendogli una sorta di climax semi-drammatico: la scomparsa del fratello minore, la perdita del lavoro e, ciliegina sulla torta, la fine di una rapporto sentimentale zeppo di alti e bassi…paragonabile al tracciato d’un elettrocardiogramma tachicardico.
Insomma, ce n’era stato davvero abbastanza da mettere in ginocchio anche il più roccioso essere vivente.
Furono proprio quei travagli a suggerire ad Angelo quanto in fondo siamo tutti potenzialmente degli “illuminati”. La maggior parte di noi vive sporadici momenti o scintille di “risveglio” improvvisi come lampi, ma purtroppo poi torna al quotidiano agire inconsapevole.
Del lavoro naufragato Angelo non ne proferiva con nessuno, solamente il cugino era al corrente della sua attuale situazione professionale.
Forse una sorta di pudore o sciocca vergogna gli impediva di rivelare, persino ad amici e persone fidate, la verità.
Non era per nulla semplice per un uomo come lui, da sempre abituato a contare solo su se stesso, ammettere di vivere una situazione durissima, al limite della sopravvivenza creativa.
Dai 19 ai 37 anni aveva sempre svolto la professione rappresentante d’azienda, con brillanti risultati e grandi doti oratorie.
Reinventarsi una nuova carriera era davvero un’impresa titanica in quel periodo di crisi economica globale e così Angelo decise di accettare ogni tipologia di mestiere, anche il più umile e faticoso.
Da circa 4 mesi si svegliava in piena notte per impastare il pane, in un forno di Migiana, una graziosa frazione di Corciano.
Spessissimo inoltre si proponeva come fattorino tuttofare per gli anziani del posto, recandosi a fare la spesa per essi e recapitandogliela in casa, in cambio di modici compensi, ma soprattutto della promessa di discrezione riguardo alle sue difficoltà.
Nonostante tutto Angelo ce la faceva, tirava a campare esattamente come una di quelle creature che muta pelle ma è dura a morire.Il suo orgoglio, la sua tenacia, gli avevano permesso di restare comunque a galla, mantenendo la sua indipendenza.
Molti suoi amici coetanei avevano vissuto o stavano vivendo situazioni simili, dovendo tornare a casa dei genitori, magari anche un po’ anziani.
Sebbene per Angelo questi contesti non erano certo tacciabili di colpe, lui nella sua testarda ostinazione continuava a nascondere le problematiche persino ai suoi genitori…forse per la convinzione assurda di non volergli recare preoccupazioni.
Una mattina, qualche settimana precedente, tornando dalla panetteria, gli era capitato d’incrociare alcuni suoi vecchi conoscenti. Non appena s’era accorto di essere sporco di farina, si nascose nell’abitacolo della macchina, cercando rifugio per cambiarsi gli abiti.
Era solito portare con sé la sua vecchia valigetta da portatile con il nome dell’azienda per la quale aveva lavorato sino all’estate precedente ed una camicia elegante, che ormai non usava più, se non per mettere in atto questo finto teatrino.
Dario quel giorno aveva visto l’intera scena e quando scorse il cugino scendere dall’auto vestito di tutto punto nel tentativo di spacciarsi per ciò che non era più, lo guardò con occhi eloquentemente rattristati, pur senza esprimersi.
Fu proprio Angelo a non lesinare parole: << Ti prego cugino, non guardarmi così! So di sbagliare, ma mi sento così male da non riuscire a fare a meno di fingere d’essere ciò che sono stato in passato. Ci sono giorni in cui vorrei smetterla con questa patetica farsa, ma la mia rabbia prende il sopravvento annebbiandomi i sensi…mi sento derubato e sottratto della mia identità >>.
Dario scosse il capo e con voce delicata e premurosa disse: << Angelo, tu non sei il tuo mestiere, così come non sei i tuoi vestiti o la tua auto. Tu hai una personalità che sa avvolgere e rincuorare chiunque ti stia attorno. Tu sei i tuoi pensieri, il tuo carisma, il tuo cammino…non scordartelo, così come non me lo scordo io quando orgogliosamente ti guardo rincasare alle 5 del mattino pieno di farina. Avresti potuto fare la fine di Geppo, di Samuele o di Lino, ed invece sei qui a sudare onestamente per pochi spicci puliti, devi essere orgoglioso di te stesso almeno la metà di quanto lo sono io >>.
In quel momento i due cugini si scambiarono un abbraccio inestimabile. Nella mente di Angelo le parole del cugino rimbalzarono a lungo, come una palla da bigliardo colpita da una stecca sapiente ed in grado di farle perlustrare l’intero perimetro del tavolo, prima di entrare in buca.
In effetti il discorso di Dario aveva sortito un effetto taumaturgico. Esattamente in quel frangente Angelo la smise di provare inutile vergogna e fu colto da una sorta di “momento satori”, durante il quale accettò e riconobbe il significato ultimo e l’opportunità di cambiamento di tante esperienze pur dolorose che stava vivendo.
Il cugino lo aveva scosso parlandogli di Geppo ed altri ragazzi del paese. Tutti soggetti che, investiti  dalla crisi, si erano buttati in attività non esattamente lecite e moralmente nobili.
Riciclaggio di denaro, corse clandestine, scommesse truccate ed una serie di altri sotterfugi torbidi, erano stati l’ancora di questi ultimi, decisi a piegarsi alla logica del denaro facile piuttosto che al sacrificio.
Così quel Giovedì in radio, il cd di Bob Dylan girava sul lettore, propagando nell’etere il suo speranzoso monito: << Perché la ruota sta ancora girando e non c'è nessuno che può dire chi sarà scelto. Perché il perdente adesso sarà il vincente di domani. Perché i tempi stanno cambiando >>.
Angelo socchiuse le palpebre, assorbendo all’interno del propri follicoli piliferi un pensiero spontaneo: << Non siamo mai così vicini a noi stessi come quando ci perdiamo >>.
Poi scattò una foto al cd che ruotava, quasi a voler fermare quell’istante. Avete mai fatto caso al fatto che tutta la nostra vita è costellata di foto che immortalano momenti felici della nostra presenza? Nessuno credo, scatterebbe foto di momenti che non vuol ricordare…in fin dei conti una foto non è altro che un tentativo di rimembrare a noi stessi o a chi ci seguirà, che siamo passati in questo sentiero trafficato e che durante il tragitto (talvolta agevole ed in altre occasioni arduo) abbiamo trovato anche isole di gioia, passione e letizia.
Portiamo con noi il meglio di noi stessi, poco o tanto che sia. Lo facciamo come quando si va ad una festa e si lascia in ordine la casa che ti ha ospitato, andandosene in punta di piedi. Così che, quando ci guarderemo allo specchio fra 20 anni, osserveremo scrupolosamente ogni ruga che nel frattempo mi ornerà gli occhi, quasi a volerci indicare come quelle figure, lì riflesse, non abbiano lasciato nulla di intentato lungo il sentiero di una vita, che a quel punto potrà anche avere mille orme di rimorsi…ma nemmeno l’ombra di un rimpianto.
Assorto e quasi assorbito da queste considerazioni, Angelo alzò il fade del microfono mentre il pezzo di Dylan sfumava.
Lesse una e-mail di una assidua ascoltatrice di nome Rossana, era una donna che spesso si torturava in relazioni impossibili, dando quasi l’impressione di trovare anche un certo auto-compiacimento nel dolore.
Le e-mails di Rossana vertevano spesso intorno alla sua incapacità di accettarsi come persona, ponevano cascate di domande su come poter migliorare le propria vita e dargli un nuovo impulso mutante.
Angelo decise di dedicargli una risposta speranzosa, leggendo uno stralcio di un “post” che pochi giorni prima aveva lui stesso scritto sul suo blog personale:

<< Probabilmente solo chi riconosce la dannosità dell’inutile ed egoistica definizione di un  ‘IO assoluto’, può scoprire la natura del “veritiero essere". 
Questo è il mio umilissimo messaggio speranzoso, tutto ciò che posso donare (nel mio piccolo), a chi come me, in questi giorni sta vivendo scosse d’assestamento e bagliori di timore misti a confusione.
La mia esperienza può essere un tutt’uno con voi, poiché siamo tutti interdipendenti e legati anche quando non lo sospettiamo.
Quando una singola goccia d'acqua incontra l'oceano diviene l'oceano stesso.
Quando un singolo pulviscolo di sabbia incontra la terra diviene la terra stessa.
Quando un termometro a mercurio si rompe, tutte le parti del mercurio stesso si dividono in singole unità sferiche, che crediamo indipendenti...la verità è che quando le avviciniamo esse tornano a congiungersi, poiché parte di un unica sostanza. Questo avviene esattamente per ogni cosa e per ogni essere vivente, noi compresi.
A volte mi sento spaesato, mi sveglio e mi pare di non aver più familiarità con la figura che scorgo allo specchio.
Credevo d'essere uno che sa correre nella vita...credevo a tante cose illusorie, sino a quando non ho incontrato la mia ombra che superandomi mi ha ammonito: - sei chinato sui posti di blocco ad attendere un colpo dello starter, ma la verità è che non scatterai mai se prima non impari ad esplorare completamente te stesso -
Il corpo comunica, le sue sofferenze sono un campanello d’allarme azionato dall’anima in affanno, ma molto spesso noi agiamo solo sul sintomo calmandolo temporaneamente, invece di andare alla radice ed interessarci delle cause. Basterebbe comportaci come si fa con quei bicchieri d’acqua sporca, le cui impurità vengono completamente eliminiate continuando a versare acqua limpida sino a quando il precedente contenuto stagnante non trabocca.
Così faccio pulizia di me stesso e pochi istanti a seguire comprendo che quell’involucro di carne, ossa e atomi non sia altro che il contenitore di qualcosa di ben più importante: la gabbia toracica avvolge una coscienza che è in grado di esistere liberandosi oltre tempo e dimensioni, lasciando tracce non estinguibili. Nulla si distrugge, tutto si evolve e passa energeticamente da una forma all’altra. Questo sembra volermi dire oggi ogni cosa che tocco e vedo. Questo diceva Enistein nella sua famosa teoria… e se è vero che la miglior legna non cresce nei luoghi agiati, ma è bensì quella degli alberi che hanno resistito alle tempeste più grandi, spero di evolvermi forte come una quercia e leggero come la brezza, poiché l’essere potrebbe assomigliare al tracciato di un cerchio del quale non esiste un vero e proprio inizio né un'ipotetica fine. >> ALESSANDRO DE VECCHI.