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sabato 5 ottobre 2013

La strada: un’università di vita quotidiana.





“Ce ne siamo andati dalla classe
dovevamo allontanarci da quegli indottrinati.
Abbiamo imparato più da un disco di tre minuti
che da tutto quello che abbiamo studiato sui banchi.
Stanotte mi arriva il suono della batteria del mio vicino
posso sentire il mio cuore che inizia a pulsare
tu dici che sei stanca e vuoi solo chiudere gli occhi
e seguire i tuoi sogni fino in fondo.
Abbiamo fatto una promessa
abbiamo giurato che l’avremmo mantenuta
nessuna ritirata, credimi, nessuna resa”.
Così cantava ringhiando e trasudando coraggio “the Boss” Bruce Springsteen, nella celebre “No surrender”.
Ed ancora: “Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse… E il mondo appare diverso da quassù. Non vi ho convinti??? Venite a vedere voi stessi!! Coraggio!! E’ proprio quando credete di sapere qualcosa, che dovete guardarla da un’altra prospettiva, anche se può sembrarvi sciocco o assurdo, ci dovrete provare. Ecco, quando leggete per esempio, non considerate soltanto l’autore, considerate quello che voi pensate. Figlioli, dovete combattere per trovare la vostra voce. Più tardi cominciate a farlo, più grosso è il rischio di non trovarla affatto. Thoreau dice che molti uomini hanno vita di quieta disperazione.
No! Non vi rassegnate a questo! Ribellatevi!
Non affogatevi nella pigrizia mentale. Guardatevi intorno!
Osate cambiare. Cercate nuove strade.”
Questa è invece l’autorevole esortazione che il professor Keating (Robin Williams ne “l’attimo fuggente”) rivolge ai suoi giovani e promettenti studenti.
La strada come maestra di vita, come università dell’esperienza diretta: questo è il concetto più volte menzionato fra quelle parole o fra le evocazioni di innumerevoli artisti, autori e registi che sull’anticonformismo, nonché sulla personale ricerca, hanno eretto il proprio tempio interiore.
Ho ricordato questi esempi poiché sono giorni che ripenso ad un’esperienza capitatami quest’estate.
Mi trovavo in vacanza in Toscana, a Pomaia (frazione di Santa Luce, in provincia di Pisa), avevo assistito nelle precedenti giornate a significativi insegnamenti donatici da importanti maestri orientali ed occidentali.
L’ultima serata di quel soggiorno fummo ospiti di Walter ed Antonella: una coppia di amici davvero straordinari che possiede un grazioso appartamento a Castellina, nei pressi del borgo citato precedentemente.
L’atmosfera quella sera era particolarmente giovale e rilassata: si argomentava di questioni semplici ed apparentemente banali, quando ad un certo punto la discussione, non ricordo per quale strana ragione, virò sulle extra-sistole cardiache e sulle fastidiose ripercussioni che queste implicano sulla qualità della vita. Antonella mi raccontò di aver spesso a che fare con questo problema. Le extra-sistole sono un fenomeno di alterazione del battito cardiaco (nella maggior parte dei casi benigno e assolutamente non grave, ma comunque in grado di renderti la vita difficile e di spaventarti moltissimo). Il ritmo del muscolo cardiaco improvvisamente “perde” un battito procurandoti per meno di un secondo una sensazione di “vuoto” e “tuffo al cuore”, durante il quale l’impressione che si avverte è la mancanza di respiro e l’esagerata paura d’un imminente arresto cardio-circolatorio.
Antonella mi raccontò come le prime volte in cui provò queste sensazioni fu letteralmente in preda al panico e la cosa mi rimandò ai miei trascorsi.
Le raccontai infatti che 13 anni orsono (quando avevo 23 anni), a seguito di alcuni svenimenti, dovetti sottopormi ad un esame invasivo al cuore e li feci la scoperta di avere una malformazione congenita. Fu necessario un intervento di ablazione con una sonda che attraversando la vena safena della mia gamba destra giunse al cuore, intervenendo con radiofrequenza dove il problema congenito risiedeva. Da allora la problematica è risolta, anche se spesso soffro anch’io di queste fastidiose extra-sistole, specialmente di notte, in alcuni periodo dell’anno mi rendono il sonno un vero incubo!
La discussione continuò con un reciproco rassicurarsi tramite consigli mai banali (evita la caffeina e il tabacco, ecc..). Ad un certo punto Walter intervenne con un suo aneddoto che mi affascinò al punto tale da essere ancora in questo preciso momento fonte di ispirazione e di un serafico sorriso, uno di quelli così larghi e spontanei in grado di farti fare pace con la vita.
Con un candore insospettabile infatti Walter prese la “matassa” del discorso e si lasciò ad una confessione che ricordo ancora in ogni singolo vocabolo…disse: << Sapete, anche a me una sera è capitata una cosa simile ed ho avuto la sensazione di morire lentamente e in modo consapevole. Ero sdraiato sul divano con il mio cane Axl che dormiva al mio fianco. Ero tuttavia ancora cosciente e non del tutto addormentano: tutto ad un tratto sentii un forte senso di occlusione al petto legato alla fatica di respirare liberamente, pensai tra me e me :‘sto avendo un infarto’. Il dolore al centro del petto aumentava e non avevo neppure la forza di svegliarmi ed afferrare il telefono.
Poi mi lasciai andare e arrivai a pensare: ‘ se per caso sto morendo devo ammettere d'esser sereno, ho avuto una vita splendida, una compagna meravigliosa, una figlia di cui sono fiero ed un cane che amo, non rimpiango nulla e sono grato di aver vissuto un’esistenza così fortunata e significativa’. Pochi istanti dopo il dolore svanì, ma quella sensazione di pace e serenità mi accompagnò tutta la notte >>.
Poche parole, nulla di filosoficamente sconcertante, eppure quella lezione è rimasta nella mia intimità come una scheggia d’oro che non intendo estrarre né rimaneggiare. La lascio lì, a ricordo di una serata come tante, che mi ha donato però qualcosa a cui non si può dare prezzo.
Ho osservato Walter con occhi nuovi: la mia non era invidia, l’invidia è un sentimento negativo. La mia era ammirazione… sincera, veritiera, vigorosa. La mia era la capacità di aver realizzato che  lo scopo dell’esistenza è tutto condensato qui: in questi pochi pensieri di chi se fosse arrivato l’ultimo atto sarebbe pronto a dire: “sono sereno e pieno di gratitudine”.

-ALESSANDRO DE VECCHI-