Visualizzazioni totali

lunedì 11 novembre 2013

Le risposte del silenzio




L’aria pungente di Novembre somiglia tanto ad un colonnello che con aria severa ti mantiene vigile e sveglio durante la marcia.
La suola delle tue scarpe da ginnastica appoggia tutta la sua superficie e ritmicamente si distacca dall’asfalto un po’ umido delle prime ore del mattino. La tua tuta (ampia, morbida ed accogliente…persino un poco “materna” nel suo interno felpato riscaldante) non si preoccupa affatto di essere “cool”, poiché non è minimente interessata agli sguardi furtivi che incrocerà nel contempo.
Correre alle 6 e 30 del mattino è soprattutto questo: un atto liberatorio, qualcosa che ti riporta al contatto ancestrale con te stesso. Le penombre ti infondono sicurezza, gli alberi scossi dal vento sembrano incoraggiare i passi veloci. Quando poi l’andatura aumenta e i piedi si scollano per un attimo dal suolo ti pare ti volare, la legge di gravità per un istante almeno è annullata…non ti senti più schiacciato, oppresso dal peso di un cielo che sembra galleggiare lassù, ponendo però tutto il suo carico sulle tue ossa.
Il respiro affannoso copre il volume della musica negli auricolari: ma tu vai avanti, la voglia di scrollarsi di dosso l’angusto e triste buio delle ultime settimane è troppo forte per cedere ai primi fiatoni.
Una panchina: due istanti di sosta e contemplazione e si riparte, la vita non si ferma affatto quando sei provato, in difficoltà e vorresti scendere anche solo per un break… e così questa volta sarai tu a non dare il minimo spazio ai pensieri più oscuri.
Un lutto inaspettato, due pesanti situazioni fisiche affrontate nell’arco di quattro settimane, roba da mandare il morale negli scantinati più polverosi e depressi. No, grazie! Non ho più alcuna intenzione di dare altro spazio a tenebre e momenti tormentanti, nessuna possibilità di replica per loro, che tengano pure i propri echi nelle proprie gole.
Si prosegue lungo viali ed incroci. Gli occhi vispi di un gatto lampeggiano come fanali fra i ciuffi d’erba di un giardino casalingo: le prime saracinesche si sollevano e un'altra giornata lentamente sembra mettersi in moto.
C’è chi ancora sotto le coperte muove i propri occhi con la ciclicità della propria "fase r.e.m" e chi invece non ha potuto farlo poiché disperatamente orfano anche dell’ultimo sogno rimastogli. Vi è chi progetta scenari futuri e chi invece spera almeno di vivere un “oggi” che sia degno di ogni essere senziente. E infine ci sono anch'io, che unicamente corro…non per scappare, non per andare da qualche parte in particolare, solo per ricordare a me stesso che sono ancora vivo: senza necessità di andare né venire. Semplicemente essere.
La strada non mi fa domande ed ha il meraviglioso “vizio” di saper ascoltare, di questo le sono infinitamente grato.
Un sorriso largo mi piega la pelle mentre quest'ultima si porta a casa ogni pensiero. Non ho dubbi: vorrei solo saper essere leggero nei riguardi di ogni cosa pur non essendo mai superficiale nei confronti di nulla.

ALESSANDRO DE VECCHI