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giovedì 22 marzo 2012

IL PESCATORE DI DOMANDE (una piccola fiaba)

Un giovane ben vestito e dall’aspetto curato si avvicinò ad un anziano pescatore che quotidianamente stazionava sulla panchina del porto. Il giovane era benestante e rivestiva ruoli di potere nella società, mentre l’uomo era un instancabile lavoratore dall'indole umile e saggia.
Ogni giorno, passando per il porto, il ragazzo scrutava l’anziano seduto sulla panchina. Lo ammirava nel suo essere attorniato da bambini, animali ed in radiosa contemplazione del mare. Di tanto in tanto confrontava il volto pacifico e sereno di quell’uomo al suo, si guardava nello specchietto retrovisore e scopriva d’essere costantemente ansioso, infelice e adombrato, nonostante fosse circondato da ogni ricchezza materiale.
Così, un venerdì apparentemente ordinario, si decise a scendere dalla sua fiammante auto sportiva, si sedette accanto al pescatore ad osservare il mare e ad accarezzare i numerosissimi cani e gatti che girovagavano attorno a quella panchina, sembrandone quasi attratti magneticamente.
<< Voglio quello che hai tu >> disse il giovane. Il vecchio alzò il capo e mise una mano sulla spalla del ragazzo, restando in silenzio mentre quest’ultimo continuò: << Ho comperato una casa nuova, ho cambiato auto, ho denaro, donne e successo, eppure sono sempre insoddisfatto. Tu hai solo le vesti che ti vedo indossare ogni giorno, quel cappello bucato, eppure sei in pace…vorrei anch’io quello che hai tu, donami il tuo segreto te ne prego >>.
L’anziano si tolse il cappello scucito e sgualcito, lo pose sul capo del ragazzo dicendogli: << Tienilo, ora è tuo, te lo regalo >>. Il giovane rimase basito, non capiva cosa il pescatore stesse cercando di comunicargli, ma accettò l’omaggio ed aggiunse: << Ma così ora sei ancora più povero, come farai a riparare la tua fronte dal sole cocente? >>.
Il pescatore sistemò il berretto sulla testa del ragazzo e gli disse con voce compassionevole: << Tu volevi ciò che posseggo ed io te l’ho donato. Vuoi sapere come faccio ad essere felice? La verità è che mi occupo solo di ogni singolo istante presente. Se agli occhi delle altre persone o di questi animali appaio lieto, probabilmente è poiché non sono attaccato a nulla. L’attaccamento e la bramosia sono fonte di dolore, poiché nulla è eterno: tutto si evolve ed è destinato a cessare. Quel cappello un giorno si sfilaccerà e non sarà più in grado di svolgere il suo compito. Perciò è inutile trattenerlo con avidità, così come è fonte di sofferenza fissarsi sulle cose della vita, pretendendo che vadano in un certo modo. Quando le situazioni andranno nella maniera che desideri sarai euforico, ma quando esse muteranno ne soffrirai, perché non vivrai più la condizione di prima. Devi imparare a lasciare andare. Lasciare andare non significa disinteressarsi, al contrario: è il sentiero che conduce all’amore più puro per la vita, dato che la natura d’essa è mutevole e cangiante.
Vuoi essere felice, vero? Ama ed accetta te stesso e gli altri così come sono, con le tue e le loro imperfezioni. Non fuggire dal dolore, riconoscilo, accoglilo e prenditene cura come una madre farebbe con un figlio malato, solo così puoi superarlo e trasformarlo in gioia veritiera…in consapevolezza >>.
Il ragazzo si alzò dalla panchina, accese il motore della sua auto e guidò verso casa con il cappello sdrucito indosso.
La mattina seguente si svegliò e si accorse che aveva scordato di legare al muretto la sua collezione di aquiloni pregiati. Ben tre d’essi erano volati via, spinti dal vento forte ed ora giacevano tra le mani dei bimbi del porto.
Il giovane guardò i bambini correre ed inciampare fra le corde d’oro dei costosissimi aquiloni, ma non sentì più il bisogno di trattenerli. Accettò di vederne le tele sporcarsi di terra e acqua. Accettò il primo capello grigio sulla tempia sinistra, che quella mattina scovò riflesso allo specchio e sorrise come mai aveva fatto in trent’anni.
Quel giorno non accese il motore, ma trovò acceso se stesso e si recò nuovamente al porto, con occhi illuminati quanto il faro che rammenta la retta via ai marinai.

- ALESSANDRO DE VECCHI -

giovedì 1 marzo 2012

<< Passeggiata lungo il momento trasparente >>

Un timido sole sembra volere mettere il naso fuori da un inverno gelido nelle temperature e negli eventi. Esco a fare due passi, una tappa in tabaccheria a pagare un paio di bollette ed osservo il ritmo più lento e rilassato con cui le persone attorno a me passeggiano.
Sembrano già lontani i tempi del passo spedito, quasi a voler dribblare il morso vampiresco dell’aria refrigerata. Le bocche, ferme ai lati dei marciapiedi ed impegnate in allegre discussioni, non esalano più fumi che non siano quelli di sigarette.
La primavera è dietro all’uscio, pronta a bussare con la sua consueta discrezione ed il suo delicato “bon ton”.
Una stagione che amo da sempre e che nell’immaginario collettivo viene associata alle rinascite: quelle della natura, che rifiorisce dopo settimane di coltri bianche e cespugli spogli come autostrade deserte o quelle degli animali, al risveglio dal torpore del letargo.
Spesso quest’iconografia comune ha ritratto anche me in marcia verso una personale reviviscenza…e così oggi, senza preavviso né una particolare ragione, mi sento di scrivere due righe e condividerle in questo “luogo” ormai così familiare.
Non ho pretesa alcuna né uno scopo ben preciso, se non quello di gettare un sorriso nelle acque ferme dello stagno. Un sorriso non costa nulla: si dice che per dipingerlo sul nostro volto occorra semplicemente l’impiego di 12 muscoli, mentre per mantenere un aspetto cruciato dal broncio ce ne vogliano ben 72! Meglio sorrider dunque? Beh direi di sì…anche quando non è per nulla facile facile, anche quando tutto sembra andarti storto e la sofferenza pare stringerti il petto in una morsa d’acciaio fino a procurarti un acuto e silente dolore. La verità è che guardiamo nel fondo del nostro pozzo quotidiano v’è sempre una ragione, una speranza alla quale aggrapparsi…persino quando non la scorgiamo lei in realtà esiste, quindi proviamo ad anticipare gratuitamente una risata, che sia appena accennata o esuberante, a denti stretti o sguaiata al punto d'allargare le nostre labbra. Ridiamo e smettiamo di prenderci troppo sul serio, proviamo a sorridere anche dei nostri guai: è così saggio e bello essere ironici ed auto ironici.
Proviamo ad imparare ad osservare il cielo nella sua spaziosità: nessuna nuvola, per quanto cupa possa essere ha il potere di coprirlo. Le nuvole vanno e vengono... transitano e sono semplicemente di passaggio: non ne esistono di più importanti, solo di forme e colori differenti...ma non impediranno mai comunque al cielo di manifestarsi.
Una stupenda canzone di Lorenzo Jovanotti mi suggerisce: << Dicono che è vero che ogni sognatore diventerà cinico invecchiando
dicono che è vero che noi siamo fermi è il panorama che si sta muovendo
dicono che è vero che per ogni slancio tornerà una mortificazione
dicono che è vero sì ma anche fosse vero non sarebbe giustificazione
per non farlo più, per non farlo più, ora.  Non c’è montagna più alta di quella che non scalerò
non c’è scommessa più persa di quella che non giocherò
ora. Ora. Ora >>.
Esco dalla tabaccheria e regalo al mio udito << Jugleland >> di Springsteen, impreziosita da quel sax che ogni volta ha il potere di farmi commuovere e piangere mentre contemporaneamente gioisco…la meraviglia delle contraddizioni più dolci: un po’ come quando piove con il sole e stille calde e soffici cascano avvolgendoti e prendendosi cura di te.
Buon "ORA" a tutti ....

<< Passeggiata lungo il momento trasparente >>
Le note di sax della “Giungla d’asfalto” m’ispezionano il corpo,
insinuandosi nei timpani
sino a perlustrarmi nella totalità.
Giocano a nascondino fra i muscoli e le ossa,
passeggiando lungo brandelli di carne
e nuotando nel mio plasma.
Un alito di consapevolezza mi sostiene
ammaestrando i miei passi,
indirizzandoli verso la luce
che s’irradia dal mio inconfessato.
Un “momento trasparente” prende luce e vita
come una rivelazione nel silenzio prevedente.
Potrei essere ovunque,
con parti di me sparse in ogni dove:
i piedi nel cuore della grande mela a Manhattan
ed i polmoni sulla più alte vette dell’Himalaya…
…il respiro di un “risvegliato” non conosce parole,
ma ha echi che asciugano alluvioni di lacrime.

-  ALESSANDRO  DE  VECCHI -