E' stato un 2016 particolare: un sali scendi dalle montagne russe: lacrime di gioia si sono mescolate in un frullato emotivo a sfoghi di sofferenza: ciò che ne è sempre scaturito è stato comunque una scaletta evolutiva.
Mi appresto a vivere nel presente questi ultimi scampoli di annata con una certezza: mi ritroverò uguale e diverso domani. Vi ritroverò, quanti di voi vorranno unirsi in un abbraccio condiviso.
Incominceremo il 4 Febbraio 2017, ore 17,00, presso la biblioteca-castello di Abbiategrasso (MI), quando insieme all'associazione di cui faccio parte: Galà 108, giardinieri delle parole: https://www.facebook.com/Gala108, presenterò nuovamente il mio romanzo: "Le risposte del silenzio" http://www.lafeltrinelli.it/libri/alessandro-de-vecchi/risposte-silenzio/9788892301207 e condividerò la presentazione con quella di altri autori (fra cui il poeta ed Amico Julio Araya)
Nel frattempo ho concluso la stesura del suo successore, il nuovo romanzo si intitolerà "Quanta felicità sai sopportare?". Una bella domanda vero? Parrebbe di primo acchito un ossimoro. Si potrebbe obiettare: la felicità non si sopporta affatto. Semmai è il dolore che tendiamo di reggere.
Se provassimo però a
riflettere a fondo, oltre i luoghi comuni, allora forse scopriremmo come spesso
ci rifugiamo in quella famosa “zona comfort”. Perché il nostro dolore lo
conosciamo, non comporta sforzi l’auto- indulgenza e l’auto-compatimento.
Essere felici è invece spesso
anche una questione di scelta, ed anche coraggiosa. Un’apertura verso il
cambiamento. Un impegno costante che comporta un lavoro su se stessi. Un duro
mestiere da contadini dello spirito.
Gente che scava
quotidianamente in sé stessa, cercando solo lì le cause dei propri insuccessi,
anziché scaricarle su terzi.
Una presa di coscienza che la
felicità duratura sia ben altra cosa rispetto al piacere: la prima è qualche
cosa che non dipende da cause esteriori, ma unicamente dal proprio essere
interiore. La seconda è soggetta alla soddisfazione sensoriale e fattori
esteriori, pertanto è altalenante e non permanente.
Ecco dunque, in fondo siamo anche
questo: gente felice per scelta.
Insomma, un bel cambiamento
di prospettiva, che porta ad una potatura, una semina, ma soprattutto una
innaffiatura quotidiana del proprio operato.
Solo così possiamo giungere
a domandarci: «Quanto sono pronto a mettermi in gioco senza giudicare? Quanto
sono disposto a smettere d’inseguire aspettative e bramosie future? Quanto so
vivere non passivamente nel presente? Quanta felicità sono in grado si
sopportare?»
Buona fine, buon inizio dunque. Ci vediamo occhi negli occhi, mani nelle mani e sarò felice di farlo di persona.
-ALESSANDRO DE VECCHI-