Metti un giorno a cena dai tuoi. Gironzoli con “passo ciondolante” in quella che fino a qualche anno fa era la tua cameretta. Osservi ogni soprammobile, scruti le pareti coi poster rimasti lì attaccati: esattamente come li avevi lasciati qualche anno prima, quando ancora in quel bunker dall’aspetto così rassicurante ed intriso di ricordi, ci abitavi.
La voce di tuo padre ti richiama in cucina: << A tavola! È pronto! >>.
Ti pare di fare un piccolo tuffo indietro nel passato, quel poco che basta per tornare a sorridere teneramente…poiché inconsciamente sai bene che il tempo non si può fermare e probabilmente è giusto e meglio che sia così. Cosa sarebbe il nostro esistere se la meraviglia di farsi sorprendere dalla vita non avesse un ruolo da protagonista? Cosa diverrebbe senza i suoi continui cambiamenti: a volte sfacciatamente gioiosi, altre volte invece dannatamente taglienti?
Niente macchine del tempo dunque: << Qui non è Hollywood >> direbbero i Negrita, e ne avrebbero ben donde.
Qualche settimana fa, a tal proposito, stavo lavorando al mio nuovo libro di racconti e mi sono ritrovato a scrivere il seguente “adagio” all’interno di un dialogo: << La quasi totalità di ciò che ci circonda è utile per chi sa cogliere ogni evento come un’opportunità di crescita. Di inutile v’è solo la stoltezza di chi usa la violenza anziché la forza della ragione. L’aridità di chi ha la ricchezza emotiva di un posacenere. La noncuranza di chi è nato con le ali, ma preferisce chinar la testa sotto la sabbia >>.
Poco fa l’ho riletta ed ho compreso una cosa: forse ho iniziato a fare i primi passi buoni come “apprendista del mestire di vivere”… e tali orme mi raccontano di come, in questo percorso privo di bussole e stelle polari, l’insegnante migliore sia proprio la pratica.
A proposito di passi ed andatura: quella sera a cena dai miei mi sono ritrovato a riflettere sul significato del vocabolo “avanzare”.
Il merito di queste bizzarre riflessioni lo devo a mia madre, spesso decisamente loquace.
Mentre io silenziosamente portavo la forchetta alla mia bocca, lei ha iniziato a raccontarmi un aneddoto che mi riguarda. Dice di averlo in qualche modo incanalato nei suoi pensieri dopo aver visto una fotografia che mi ritraeva in tenera età.
Ebbene, col suo solito piglio, in quel frangente ha iniziato a raccontarmi di come ho imparato ad andare in bici. << Tuo padre ti tolse una rotella alla volta per insegnarti gradualmente a condurre la bici con sicurezza >>. Così ha iniziato a conversare, mentre io, versandomi del vino, l’ascoltavo incuriosito.
<< Il giorno in cui ti ha levato anche la seconda rotella, avevi molta ansia…chiedevi al papà di seguirti e tenere la sella con le mani. Il babbo ti rassicurava dicendoti che era dietro di te e ti stava sostenendo. In realtà tu, senza saperlo, stavi già guidando la bici da solo! Ma eri tranquillo perché sentivi la voce di tuo padre provenire da dietro ed immaginavi la sue manone pronte a afferrarti in caso di 'mancato decollo' >>.
Questo piccolo ed apparentemente banale ricordo, mi ha illuminato la giornata. Suonerà bizzarro, forse anche un poco singolare, ma ora posso dire di aver davvero capito cosa significhi “avanzare”.
Quella minuscola bicicletta in verità era una metafora, un'allegoria del nostro quotidiano “farci strada”. Per poter stare in equilibrio occorre pedalare, sempre. Le rotelle mancanti e l’ansia le ho ritrovate in ogni altra occasione, in ogni “notte che precedeva un esame”... e la commissione giudicante si chiamava “futuro”.
Oggi sono qui: la segnaletica non esiste. Non troveremo mai un cartello che ci indichi qual è la via buona. Spesso avremo a che fare con sentieri scoscesi e dolori ai tendini, a forza d'alzarsi sui pedali per affrontare le salite più ripide o i tornanti più erti.
La vetta non è mai visibile ad occhio nudo. A volte ho come l’impressione che inoltrandomi fiducioso, essa dispettosamente diventi inafferrabile, come un'utopia. Ma in fondo è bello che sia così.
Eduardo Galeano mi ha insegnato che l’utopia è come l’orizzonte: <<Cammini due passi e si allontana di due passi. Cammini dieci passi e si allontana di dieci passi. L’orizzonte è irraggiungibile ed allora a cosa serve l’utopia? A questo: serve per continuare a camminare >>.
Dimenticavo: buon viaggio a tutti!
- ALESSANDRO DE VECCHI -
La voce di tuo padre ti richiama in cucina: << A tavola! È pronto! >>.
Ti pare di fare un piccolo tuffo indietro nel passato, quel poco che basta per tornare a sorridere teneramente…poiché inconsciamente sai bene che il tempo non si può fermare e probabilmente è giusto e meglio che sia così. Cosa sarebbe il nostro esistere se la meraviglia di farsi sorprendere dalla vita non avesse un ruolo da protagonista? Cosa diverrebbe senza i suoi continui cambiamenti: a volte sfacciatamente gioiosi, altre volte invece dannatamente taglienti?
Niente macchine del tempo dunque: << Qui non è Hollywood >> direbbero i Negrita, e ne avrebbero ben donde.
Qualche settimana fa, a tal proposito, stavo lavorando al mio nuovo libro di racconti e mi sono ritrovato a scrivere il seguente “adagio” all’interno di un dialogo: << La quasi totalità di ciò che ci circonda è utile per chi sa cogliere ogni evento come un’opportunità di crescita. Di inutile v’è solo la stoltezza di chi usa la violenza anziché la forza della ragione. L’aridità di chi ha la ricchezza emotiva di un posacenere. La noncuranza di chi è nato con le ali, ma preferisce chinar la testa sotto la sabbia >>.
Poco fa l’ho riletta ed ho compreso una cosa: forse ho iniziato a fare i primi passi buoni come “apprendista del mestire di vivere”… e tali orme mi raccontano di come, in questo percorso privo di bussole e stelle polari, l’insegnante migliore sia proprio la pratica.
A proposito di passi ed andatura: quella sera a cena dai miei mi sono ritrovato a riflettere sul significato del vocabolo “avanzare”.
Il merito di queste bizzarre riflessioni lo devo a mia madre, spesso decisamente loquace.
Mentre io silenziosamente portavo la forchetta alla mia bocca, lei ha iniziato a raccontarmi un aneddoto che mi riguarda. Dice di averlo in qualche modo incanalato nei suoi pensieri dopo aver visto una fotografia che mi ritraeva in tenera età.
Ebbene, col suo solito piglio, in quel frangente ha iniziato a raccontarmi di come ho imparato ad andare in bici. << Tuo padre ti tolse una rotella alla volta per insegnarti gradualmente a condurre la bici con sicurezza >>. Così ha iniziato a conversare, mentre io, versandomi del vino, l’ascoltavo incuriosito.
<< Il giorno in cui ti ha levato anche la seconda rotella, avevi molta ansia…chiedevi al papà di seguirti e tenere la sella con le mani. Il babbo ti rassicurava dicendoti che era dietro di te e ti stava sostenendo. In realtà tu, senza saperlo, stavi già guidando la bici da solo! Ma eri tranquillo perché sentivi la voce di tuo padre provenire da dietro ed immaginavi la sue manone pronte a afferrarti in caso di 'mancato decollo' >>.
Questo piccolo ed apparentemente banale ricordo, mi ha illuminato la giornata. Suonerà bizzarro, forse anche un poco singolare, ma ora posso dire di aver davvero capito cosa significhi “avanzare”.
Quella minuscola bicicletta in verità era una metafora, un'allegoria del nostro quotidiano “farci strada”. Per poter stare in equilibrio occorre pedalare, sempre. Le rotelle mancanti e l’ansia le ho ritrovate in ogni altra occasione, in ogni “notte che precedeva un esame”... e la commissione giudicante si chiamava “futuro”.
Oggi sono qui: la segnaletica non esiste. Non troveremo mai un cartello che ci indichi qual è la via buona. Spesso avremo a che fare con sentieri scoscesi e dolori ai tendini, a forza d'alzarsi sui pedali per affrontare le salite più ripide o i tornanti più erti.
La vetta non è mai visibile ad occhio nudo. A volte ho come l’impressione che inoltrandomi fiducioso, essa dispettosamente diventi inafferrabile, come un'utopia. Ma in fondo è bello che sia così.
Eduardo Galeano mi ha insegnato che l’utopia è come l’orizzonte: <<Cammini due passi e si allontana di due passi. Cammini dieci passi e si allontana di dieci passi. L’orizzonte è irraggiungibile ed allora a cosa serve l’utopia? A questo: serve per continuare a camminare >>.
Dimenticavo: buon viaggio a tutti!
- ALESSANDRO DE VECCHI -
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RispondiEliminaAlessandro che splendida e realistica atmosfera hai condiviso! Mi sembrava di sentire il profumo di casa tua! Sorprendente l'episodio della bicicletta, identico al mio con mio padre con le stesse manone, con lo stesso cuore, con lo stesso desiderio di veder decollare la sua bimba. Abbraccio forte te e i tuoi genitori.
RispondiEliminadi questo tuo scritto, che dire? ci riporta un pò tutti all'infanzia, hai fatto ritornare alla mente con tanta tanta nostalgia anche i miei primi passi in bicicletta (rossa) alla tenera età di 6 anni, ed è proprio vero tutti gli obbiettivi raggiunti (con tante pedalate, senza nessuno che ti tiene la sella) nella vita sono un continuo sprono per "continuare a camminare" Oramai io alla mia età ho già raggiunto parecchi obbiettivi, e sono caduta tante tante volte.....però non mi sono mai arresa e ancora adesso vado avanti....ciao Ale, come al solito complimenti!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
RispondiEliminaAle sei bravissimo nel vedere le cose anche quando sono scontate,grazie per farci riflettere e sai una cosa?ho un figlio di 18 anni e spero di sentire qualche cosa di ciò che dici anche da lui,che sia coscente e che sia riuscita ad aiutarlo ad affrontare il mondo con il nostro insegnamento.Grazie Ale sei forte.
RispondiEliminaIo non ho ricordi di mani che mi sostengono. Forse perché ho perso quasi tutti i ricordi della mia infanzia. Non so perché, ma ho come un vuoto, un grande buco nero. Ho sempre cercato di farmi forza, di andare avanti, sempre e comunque. Ho affrontato tante salite e tanti sentieri scoscesi, ma sono qui, sono ancora qui e con me ci sono alcune persone splendide come te, come Mony, come altri pochi amici che mi riempiono il cuore e la vita. Sono onorata di averti conosciuto.
RispondiEliminaPalma
Si deve pagare un duro pedaggio per continuare a camminare, fatto di incomprensioni, rabbia, solitudine, sofferenze.
RispondiEliminaMa tu, Ale, con passi cauti, evitando i precipizi, solo con la tua forza, continui a camminare.
c'è tempo per correre...c'è sempre tempo per correre...Bravo! Ti abbraccio forte <3<3<3
Kiki
...mi sono scese le lacrime nel ricordare e nel sentire la dolcezza in quel che hai scritto... tanti complimenti Ale per quello che scrivi..sempre!
RispondiElimina...più lo rileggo e più mi piace...
RispondiEliminami lusinga sapere che ti sei commosso (o commossa).. il fine ultimo del mio umile scrivere è proprio regalare un barlume d' emozione e speranza.. in fondo chi scrive non fa altro che "sorreggere uno specchio" in cui il lettore può riflettere ciò che ha già dentro di sè consapevolmente o incosapevolemente :-))
RispondiEliminaNon essendoti firmato o firmata non so chi tu sia, ma volevo ringraziarti di cuore ^_^