<< L’unica cosa che mi possa
schiaffeggiare è il vento. >>
E’
una considerazione di Elena, una mia cara amica. Pare che anche lei ami il
vento.
E
pensare che spesso lo si sente maledire, quante imprecazioni contro di lui!
Del
resto si sa: non sempre il bene viene compreso immediatamente.
Così
il vento sostiene le ali degli stormi migratori, accarezza le onde del mare, gonfia le vele di chi sta
navigando, dona energia pulita al mondo.
Eppure
subisce spesso milioni di ingiurie. Poi arriva l’estate ed il sudore dei 40 gradi
all’ombra ci ricorda di ringraziare quella coraggiosa brezza.
Camminare
lungo l’alzaia è un esercizio di memoria prima ancora che un training
fisico.
Ogni
passo è genitore di ricordi, pensieri, considerazioni e chiacchiericcio dello
spirito.
Lascio
che questo mormorio faccia il suo corso, in fondo la mente è come un cielo
azzurro al di sopra delle nuvole: queste ultime sono solo ospiti temporanei,
ciò che resta è lo spazio infinito e l’azzurro incontaminato, anche se momentaneamente
offuscato.
Il
vento fischia e le foglie verdi sembrano capelli di donne affascinanti.
Anche
i rami si piegano, ma non le radici! Quelle restano ben piantate nel terreno,
accada quel accada.
Possono
passare le stagioni, mutare i colori e spogliarsi gli arbusti, ma le radici
ricordano sempre all’albero da dove proviene e cosa sia destinato a fare;
mutamento dopo mutamento.
Questa
primavera mi ha già donato diverse risposte, talune inaspettate, tal altre
forse invece attese a lungo.
Si
dice che per capire ciò che vogliamo dalla vita dovremmo prima comprendere
tutto ciò che non desideriamo. Sembra una cosa così scontata, eppure non lo è.
E’
una selezione quasi Darwiniana, sopravvive solo ciò che è davvero utile e
funzionale alla nostra evoluzione spirituale.
Lo
scorso anno in tal senso per me è stato un lungo periodo di “potatura”,
spesso non privo di scelte dolorose, ma
necessarie.
Gli
effetti li comincio a vedere oggi: la vegetazione cresce più rigogliosa se ti
sei preso cura di estirpare erbacce che soffocavano la luce.
Siamo
un poco giardinieri di noi stessi dunque … e si sa, sono mestieri duri, che
nessuno può svolgere al posto nostro. Sudore, schiene curve e maniche
rimboccate: ecco la ricetta.
Passo
dopo passo sorpasso il ponte: alcuni ragazzi fanno jogging approfittando del
fatto che qui non possono transitare auto.
E’
un piacevole ritorno alla natura e per raggiungere questa serena oasi è
sufficiente marciare per meno di un chilometro, uscendo dal centro cittadino.
La
gente, in questo lembo di terra, sembra volersi rifugiare e ritrovare se
stessa. Lo soprannominerei un po’ un “rifugio risveglio”, due R che, se ci
pensate bene, valgono umanamente ben più delle due R famose nel campo delle
auto di lusso.
Qui
il vero lusso è allontanarsi dal caos che tutto inghiotte, che anestetizza
cuore, cervello ed animo.
Passo
sinistro, passo destro. Sono consapevole di ogni volta che le mie suole
assaggiano l’asfalto.
Sgrano
il mio mala, ovvero il mio rosario tibetano. Recito in maniera appena udibile
alle mie stesse labbra un mantra: “Om tare tuttare ture soha”. C’è un anziano
signore davanti a me sta facendo qualche cosa di simile, i miei occhi cadono sul
suo rosario: ha una croce, è un rosario cristiano.
Lui
fa lo stesso con me, accorgendosi della mia presenza dietro le sue spalle. Ci
guardiamo senza nulla dirci. Sorridiamo l’uno l’altro ed anche i nostri
rosari, diversi ma in fondo simili, si salutano. Il Buddha incontra il Cristo
nel trionfo dell’unione.
Il
cielo è terso, all’orizzonte riesco persino a vedere i profili della montagne e
le creste innevate. Sembra di avere l’Himalaya lì, a poche centinaia di
chilometri, pronto a sussurrare il suo misticismo.
Un
concerto di passerotti si prede tutto lo spazio fra il mio timpano e il
martelletto e si propaga come un crescendo rossiniano.
Ora
è il turno dell’acqua che scorre. Il canale del Naviglio regala questa ed altre
ballate sonore.
Sento
che potrei restare qui per un tempo indefinito, così come sento che per
rinascere non sia necessario attendere una prossima vita: sto vivendo la mia
prossima vita qui ed ora.
Il
passato l’ho ringraziato per ogni lezione, il futuro mi interrogherà domani. Il
nostro tempo è un orologio che segna una sola cifra: ADESSO.
ALESSANDRO DE VECCHI
All'inizio volevo scriverti che a Trieste con la bora c'è poco da star tranquilli, una volta mi piaceva, ora mi mette ansia.... Poi ho continuato a leggere e ho capito che parli di VITA. Come sai scrivere bene Ale.... e questo racconto è stupendo. Un abbraccio grande.
RispondiEliminaMi hai fatto arrossire...Ale, davvero grazie dal profondo de cuore <3
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